Racconto di una salita
Era il 16 Agosto 1998 eravamo con la scuola di alpinismo ad un “accantonamento” di una settimana su roccia in dolomiti.
Sotto le pareti del bellissimo Catinaccio dopo cena al rifugio eravamo tutti un po’ brilli e stavamo organizzandoci per le salite dell’indomani.
Ci fu un battibecco tra me, nuovo entrato, ed un altro istruttore sulla consultazione di una guida di arrampicata, così abbastanza arrabbiato mi alzai e me ne comprai una identica, mettendomi con attenzione a guardare l’elenco delle vie più belle… e l’occhio mi cadde sulla Steger.
Una via classica, storica ricca di significato, una linea pressoché diritta e verticale molto estetica.
Chiesi informazioni anche a Tonino, mi disse che era una bella via e che sarei stato all’altezza…
Questo, detto da un alpinista di esperienza come lui, mi tranquillizzò.
A fianco a me c’era qualcuno che con lo sguardo mi diceva “ma dove vuoi andare, ma lascia perdere”…
Fu la miccia che si accese dentro di me…
Avevo deciso, dovevo solo scegliere i compagni di cordata…
Quando dichiarai i miei ambiziosi obbiettivi (la via era lunga 600 metri con difficoltà fino al VI+) ci fu un breve silenzio che mi sembrò durare una vita, i miei occhi incrociarono quelli di Enrico che per un attimo li abbassò… subito dopo li puntò dritti nei miei e con un bicchierino di grappa in mano mi disse si…
Era per me un si carico di tante cose… soprattutto una gran fiducia in me che non ero espertissimo di montagna, in fondo erano solo sette anni che praticavo alpinismo su roccia!
Proponemmo la cosa anche a Lino che fece una battuta come a dire “siamo sicuri?” io confermai con un sorriso e subito si aggregò.
Ci svegliammo all’alba, mi sentivo molto bene e carico, c’era “solo” il problema della meteo che non prometteva bene, infatti diversi di noi optarono per vie più brevi e meno impegnative… io no.
Avevo un fuoco dentro che mi bruciava e che sapevo si sarebbe placato solo in cima a quella vetta…
Ci incamminammo verso l’attacco, spediti e decisi, talmente decisi che il primo tiro di III/IV grado lo facemmo sciolti! Poi ci legammo e partii io, gli accordi erano che io avrei tirato i primi 200 mt. che erano i più sostenuti, i secondi toccavano a Enrico e gli ultimi 200 mt. a Lino.
La roccia era buona, c’erano molte protezioni per essere una via alpinistica, mi ricordo che ogni tanto ne saltavo qualcuna letteralmente correndo… Enrico disse poi che ero come in uno stato di trance! Ad un certo punto su un traverso c’era un passo di VI+ ed Enrico con lo zaino in spalla non ce la fece, gli riuscì invece un gran bel pendolo nel vuoto accompagnato da un urlo di paura! L’esposizione era assoluta, il tempo stava cambiando…
Alle soste senza perdere tempo recuperavo le corde a veloci bracciate come se dovessi vincere il campionato mondiale di recupero della corda! Facevo venire su i miei compagni e velocemente ripartivo dopo essermi ripreso il materiale utile, e così via fino alla fine dei primi duecento metri iniziali. Lì dovemmo prendere una decisione cruciale: continuare nonostante il tempo stesse peggiorando o battere in ritirata come l’esperienza e il buon senso avrebbero consigliato.
Ci consultammo velocemente e convinsi i miei due compagni a continuare, a patto che mi lasciassero proseguire da capocordata, per l’ennesima volta mi diedero fiducia e ormai quel fuoco dentro di me era un incendio…
Proseguii ancora più veloce visto che le difficoltà ora erano più abbordabili e arrivammo a due terzi della salita, cominciò a piovere…
Fortunatamente non era una pioggia battente, o almeno così mi sembrò, e nonostante la roccia bagnata e il freddo che provava ad entrarmi nelle ossa mi sentivo in uno stato di piena concentrazione, sicuro di me, ora il mio obbiettivo era portare fuori di lì i miei compagni che mi erano venuti dietro fidandosi!
Ricordo in particolare un tiro in diagonale ascendente verso destra con passaggi di aderenza di V grado su roccia bagnata, e sotto una pioggia continua, in un altro momento mi avrebbe messo in seria difficoltà ma quella volta… quella volta c’era quel fuoco dentro…
Tranquillo e sicuro andai verso la vetta, verso la salvezza e arrivato in cima ero contento ma ancora concentrato… dovevamo riscendere e la pioggia era aumentata con tuoni sempre più vicini.
Feci salire Enrico e mentre stavamo recuperando Lino un fragore come una bomba ci colse all’improvviso… un fulmine! Sassi scagliati al cielo e un forte odore di zolfo, ci rialzammo eravamo illesi, il fulmine era caduto sulla nostra cresta ma dall’altra parte dove la cresta ridiscendeva dalla cima a cento o duecento metri in linea d’aria da noi.
Recuperammo velocemente Lino, e io davanti mi diressi verso la sommità di quella cresta per poi ridiscendere dal lato opposto.
Mi sentivo strano, pensai fosse l’agitazione, ma mi resi conto che i miei capelli con le sopracciglia e le ciglia erano ritti e che sul mio maglione c’erano delle scintille!!! L’aria era ancora carica, mi sentivo nel mirino di un fulmine…
Fermai subito Enrico e Lino e di corsa riscendemmo indietro per perdere quota, ci togliemmo le ferraglie di dosso e aspettammo… dopo una mezzora riprovammo a salire, l’elettricità non c’era più continuammo fino ad una doppia da fare sull’altro versante e mi ricordo che, come per miracolo, smise di piovere e si squarciarono le nuvole lasciando il posto ad un Sole che più caldo di così non lo avevo mai sentito! Era come se fossi rinato di nuovo, ed anche i miei compagni cambiarono subito d’umore. Una lieve ma sempre più frizzante euforia ci prese e scesi alla base della parete ci abbracciammo forte e forse, se ricordo bene, qualcuno di noi pianse…
Tornammo al rifugio e girando l’angolo trovammo tutti i nostri compagni ad aspettarci fuori preoccupati, sbottarono in un urlo liberatorio e qualcuno di loro ci fece una foto…
Io sulle spalle di Lino Hulk Marini ancora con l’imbraco addosso con tanto di zaino alle spalle che teneva me con le corde in spalla e le dita aperte in segno di vittoria, a fianco a noi Enrico Vallorani con uno dei suoi sorrisi infiniti e con un fazzoletto rosso al collo…
Quella foto con le loro firme è ancora appesa in camera mia…
Francesco Rapicano
Fotografie
- Un trionfante Francesco Rapicano sulle spalle di Lino Marini. Enrico Vallorani sulla destra.