Questo è mio!…e… Questo racconto potrei iniziarlo così: c’era una volta un sentiero di montagna immerso in un bosco di pini, vi nasceva una gran quantità di rovi ed era rifugio di scoiattoli, picchi, fringuelli ed anche del rumoroso cuculo. Ma, forse non sarebbe esatto iniziare in questa maniera perché anche se il succedersi dei fatti che via via andrò a raccontare potrebbe farla sembrare tale, non è una fiaba che si conclude con il classico fi nale e tutti vissero felici e contenti. Come in alcune favole classiche l’uomo cattivo esercita prepotenze ed uno stuolo di servitori lo favoriscono e lo adulano per un pugno di fagioli. C’è quindi chi subisce prepotenze ma per fortuna c’è anche chi cerca di far valere i suoi diritti che sono infine, quelli di tutti gli uomini liberi e, non riesce a farsi ascoltare.
Alla luce di queste considerazioni ritengo opportuno iniziare in questa maniera. C’e un sentiero percorso da tempo immemorabile che da Porta Cartara conduce a S. Giacomo, alle pendici della montagna dei Fiori. Lo hanno percorso rudi uomini che dai boschi di altitudine prelevavano e portavano a valle legname da ardere e di lavoro per procacciarsi il necessario per vivere. Lo percorrevano in estate anche i “nevaroli” che con i loro asini trasportavano in Città la neve che avevano avuto cura di comprimere nelle “neviere” nel corso dell’inverno, perché era necessaria in estate alle industrie bacologiche, agli ospedali, alle pescherie e alle macellerie per evitare che l’alta temperatura alterasse alcuni prodotti alimentari e non, necessari all’uomo. Il sentiero, prima che la zona circostante fosse rimboschita era fi ancheggiato da rovi e alberi ad alto fusto se ne contavano pochissimi. D’estate, dalla vallata del Castellano, saliva una gustosa brezza che rendeva piacevole percorrerlo. Intorno 2 all’anno 1960 il progresso inarrestabile cambiò il modo di vivere degli uomini delle Città ed il bosco, di cui stiamo parlando, non poté sottrarsi a questo cambiamento che investiva il mondo intero. La legna dei boschi non serviva più perché le case venivano riscaldate con altri mezzi che offriva il progresso, anche il freddo veniva prodotto dai frigoriferi e dai congelatori che nel frattempo erano entrati nell’uso comune. Così il sentiero che aveva una storia secolare e un transito vivace, rimase a disposizione quasi completamente dei gruppi di giovani escursionisti. Ma, come si usa dire, non tutti i mali vengono per nuocere e la situazione che si venne a creare cambiò profondamente anche quell’ambiente. Gli alberi crebbero e le loro foglie che in autunno cadevano abbondantemente soffocavano le erbe infestanti e si trasformavano in utilissimo humus che fa cilitava nel sottobosco la crescita di fi ori e funghi.
Anche la fauna risentì della modifica e agli Scriccioli, ai Pettirossi, ai Fringuelli che prima riempivano il bosco, si sostituirono il Picchio, la Ghiandaia, lo Scoiattolo, il Ghiro e la Martora. Il Cuculo non avvertì negativamente il cambiamento e fu l’unico della vecchia squadra che rimase. Su tutto questo naturale tranquillo procedere che si era stabilito un brutto giorno giunse come un uragano con il suo fuoristrada il proprietario del frustolo di bosco attraversato dal sentiero. 3 Questa presenza sarebbe stata naturale se l’uomo non avesse preteso di modifi care la pace del bosco. L’uomo, il ” padrone”, diceva di essersi stancato di vedere il suo pezzo di bosco transitato da estranei e decise di far valere i suoi diritti di proprietario, di padrone. Infatti mormorò tra sé: “ma questo mio bosco per via del sentiero che lo attraversa, ha fatto comodo a troppa gente, solo io non ne ho tratto alcun vantaggio! Tutti coloro che sono saliti in montagna lo hanno calpestato, ora basta!” E di colpo decise di recintarlo. “Cosa c’è di male se un proprietario rivendica per le sue necessità o per capriccio la sua terra? Dopo tutto nel mondo di oggi (ma forse anche in quello di ieri) non è la proprietà che distingue nella società l’uomo realizzato da quello che non lo è? Da quello cioè che non è stato “abile” nel corso della sua vita ad operare in qualche modo per appropriarsi di qualcosa? Questa è la mia terra e solo agli animali permetterò, dà ora in poi, di abitarla, svolazzarci e posarsi ovunque vogliono. Insomma qui un proprietario esiste e non ha alcun obbligo verso il prossimo”.
Peppe, questo è il nome del proprietario, riflettendo in tale maniera si convinceva che ciò che intendeva fare era giusto, che non aveva alcun obbligo verso il prossimo e che le pretese degli altri, se ci fossero state, non dovevano condizionarlo. “Ho deciso” disse ” domani inizierò a far valere i miei diritti!” Infatti non ci pensò oltre ed il mattino seguente munito di un rotolo di plastica rosso e bianco, si recò nel bosco e, facendolo scorrere tra gli alberi, circoscrisse la sua proprietà sulla quale si snodava il sentiero. In pratica attuò quello che aveva egoisticamente programmato e non è il caso di dire come gli abitanti del bosco commentarono questa improvvisa decisione. Tutti, fermi nascosti sui rami, osservavano pensierosi e inquieti quello che stava accadendo. Qualche giorno dopo alcuni giovani percorrendo il sentiero s’imbatterono in quel nastro e, senza dargli troppo peso lo calpestarono proseguendo il loro cammino. Peppe il giorno dopo trovò il suo lavoro disfatto e si prodigò a ricomporlo, ma, questo curioso modo di fare tra chi eliminava il nastro e colui che lo riassettava si ripeté per qualche tempo e divenne come un gioco che nessuno intendeva interrompere. Così, tacitamente, iniziò una specie di “guerra”. I nemici non si conoscevano e non si parlavano e neppure si vedevano ma, nel modo di agire si contrastavano testardamente e, a lungo andare le parti contendenti e gli stessi frequentatori del bosco si impensierirono. Peggio fu quando un mattino attaccato al nastro fu trovato un cartello con su scritto: “proprietà privata – divieto di transito”. La novità bloccò il gruppo di passaggio ed iniziò tra i suoi componenti una animata discussione. Intanto gli animali incapaci di leggere il contenuto del cartello seguivano attentamente la discussione dei montanari nella speranza di intuirne le intenzioni. “E’ un sentiero storico”, dicevano alcuni, “non è possibile interromperlo”. I più non diedero importanza a quest’ultima sopraffazione ma, uno di loro fece osservare: “per me la situazione è preoccupante, voi non immaginate dove può arrivare l’egoismo dell’uomo. Ho il timore che questo pezzo di bosco sul quale siamo sempre passati possa essere recintato. Se malauguratamente avverrà ciò, il sentiero non sarà più disponibile”. ” E’ vero” disse un terzo ” questo timore lo sento anch’io”. A me sembra che abbiamo dinanzi una persona che vuole affermare: “questo è mio e guai a chi me lo tocca.”. I più moderati invece sostenevano: “che male facciamo se passiamo sul sentiero come abbiamo fatto sempre. Non portiamo via niente dal bosco!
Ci sarà una legge che esamina un caso di questo genere e che impedisca che interessi individuali prevalgano su quelli generali”. Mentre il gruppo era intento a discutere sui possibili sviluppi futuri, il proprietario furbescamente operava. Intuite le opposizioni si era recato presso gli uffici competenti allo scopo di ottenere quelle autorizzazioni che gli avrebbero permesso di attuare il suo piano. Infatti, compiuto con successo il giro, e ottenuto ciò che desiderava iniziò ad attuarlo. Cominciò con il sostituire al nastro di plastica una fitta rete metallica. La scelse verde, colore ecologico, intonata all’ambiente, ma, pur bella che fosse, era sempre una rete che recintava e che limitava a uomini ed animali una parte di libertà. Gli animali del bosco accovacciati sui rami osservavano preoccupati. La Volpe sempre furba, disse: “Dinanzi a questa novità mi ribello e intendo continuare ad agire come ho sempre fatto. Vuol dire che scaverò un cunicolo sotto la rete così quando vorrò mi sarà facile entrare ed uscire”. Al Gufo questa osservazione non piacque e gli rispose.”Non devi pensare solo a te stessa, la situazione va affrontata diversamente. Questo uomo come molti altri, è affetto da un male terribile chiamato individualismo o, ancor peggio, egoismo. Così facendo tu risolvi un tuo problema e, anche il tuo ragionamento pecca di egoismo. Da quando esiste, l’uomo ci ha privati della libertà che è parte della nostra natura. Con la scusa di promuovere il progresso e la civiltà ci ha sottratto, attraverso la cementificazione selvaggia, le strade che giungono perfino in cima alle montagne, l’illuminazione di ogni angolo della terra, l’innalzamento di nuove recinzioni divisorie come questa che sta per essere eretta qui, buona parte di quella libertà che Dio ci aveva dato. Siamo stati perfino rinchiusi in strani agglomerati “Zoo”, prigionieri a vita, anzi a morte direi pur non avendo fatto nulla di male. L’egoismo dell’uomo non ha limiti e la privatizzazione è un male che fa parte del suo DNA. Da sempre ha cercato di realizzarla e, come vedi, quello, di cui stiamo discutendo ne è la riprova. Non sottovalutiamo il caso, saremmo degli incoscienti se non ce ne preoccupassimo”. Un sermone più preciso e convincente non poteva essere fatto e gli animali del bosco avendo ormai capito la situazione, ne erano seriamente preoccupati. Infatti, rifletterono e capirono che le conseguenze sarebbero state gravi non solo per loro, dato che si stavano sopprimendo principi universali con il trionfo dell’interesse privato su quello pubblico. Non sapendo quale decisione prendere, saggiamente concordarono di attendere la reazione che avrebbero avuto i montanari dinanzi a questa novità. L’aiuto atteso però tardava ad arrivare ed il lavoro di recinzione stava per essere ultimato. Decisero allora d’interessare tutti gli animali della montagna convocandoli in assemblea per pianificare un intervento e si riunirono in una notte di luna piena; sedettero tutti intorno ad un fuoco.
Il silenzio era interrotto solo dal crepitio della fiamma. Una riunione del genere era possibile perché si erano accordati di accantonare per un motivo di importanza rilevante i loro conflitti naturali comportandosi amichevolmente. Quindi, non si guardavano in cagnesco, non si inseguivano e, non si cacciavano come la natura aveva stabilito per la loro sopravvivenza. C’era un rispetto fissato nelle notte dei tempi, utilissimo nei casi in cui sarebbe stato necessario prendere decisioni a vantaggio di tutti. Fu deciso di organizzare un grosso raduno invitando tutti gli animali della montagna, dal Topo che colse l’occasione di scherzare con la Volpe, il Corvo con la Faina, la Lepre portava sulla groppa il Riccio e perfino la Talpa, cieca, volle partecipare per solidarietà sistemandosi sulla groppa del Cinghiale. La Tortora s’incaricò di distribuire gli inviti. D’altro canto, chi avrebbe potuto farlo meglio e più velocemente di lei? Il Cuculo prese l’iniziativa e con la sua voce forte e chiara cominciò a gridare ai quattro venti per spiegare quello che stava accadendo. Il suo grido di allarme superò i prati e le valli e fu udito anche da tutti coloro che non erano potuti intervenire. Nel corso della riunione, tutti d’accordo, decisero di chieder aiuto agli Gnomi della montagna anch’essi in allarme per quanto stava accadendo. La Civetta aderì con entusiasmo perché in una delle sue cacce notturne battendo contro il nastro aveva ancora un’ala dolorante. Gli Gnomi che erano invisibili all’occhio umano, non avevano in quel periodo un gran da fare. Abitavano oltre il Vallone nei pressi della vetta, nei luoghi più nascosti dei boschi ed erano innamorati dell’ambiente. Generalmente sono molto buoni ma diventano cattivi e dispettosi con coloro che non rispettano il prossimo, la natura, scrivono sulla corteccia degli alberi o che lasciano traccia del loro passaggio.
Trascorrevano il tempo tranquillamente lontano dai rumori e ritenevano il progresso degli uomini un male legato alla loro vanità che, nel tempo, li avrebbe distrutti. Si lasciavano vedere raramente e solo quando vi erano situazioni importanti da risolvere. Intanto anche i montanari erano impegnati a risolvere il caso procurato dall’egoismo di Peppe ma si stavano perdendo purtroppo negli iter burocratici degli uffici. Gli impiegati che interpellavano non capivano il motivo di fondo della loro protesta, li ritenevano dei ” rompi scatole” desiderosi solo di creare grane. Per essi abituati a sedere in ufficio, un sentiero vale l’altro e ritenevano una stupidaggine voler percorrere proprio quel sentiero ormai chiuso. Secondo il loro modo di ragionare ne esistevano tanti altri che avrebbero potuto risolvere il problema. Questo indisponeva i montanari che lo ritenevano frutto di una mentalità gretta. Gli Gnomi che conoscevano queste stupide inconcludenti osservazioni umane, di concerto con gli amici del bosco si apprestavano a disporre un piano d’intervento che avrebbe posto l’uomo egoista in seria difficoltà. Il fatto che essi fossero invisibili all’occhio umano, dava loro la possibilità di disfare, in tempi brevi tutto ciò che Peppe concludeva con grande fatica. Un giorno mentre era intento a trasportare sulla parte più alta del bosco dei rotoli di rete metallica da impiegare per la recinzione della proprietà, sorprendentemente notò che man mano che venivano posati per terra rotolavano verso il basso e non c’era modo di fermarli. Peppe non era capace di dare una spiegazione di questo strano fenomeno. Meravigliato e indispettito, dopo vari tentativi, esausto abbandonò il lavoro. Per gli animali del bosco era un divertimento vedere Peppe che faticosamente lavorava senza concludere qualcosa di serio. Essi, all’arrivo degli Gnomi, si riunivano per assistere allo spettacolo ed alla fine mostravano la loro soddisfazione con canti, squittii di gioia e svolazzi che a Peppe davano molto fastidio. Gli Gnomi ideavano i dispetti più strani e impensabili. Una notte travasarono sul terreno il contenuto di alcuni sacchi di cemento che erano stati acquistati per fissare i paletti della recinzione. Lo sconcerto di Peppe a quella vista fu enorme ed anche il danno fu ritenuto rilevante dato che egli era molto tirchio ma, testardamente, egli seguitò ad accanirsi per ultimare la recinzione. Si rallegrò del successo e per festeggiarlo invitò alcuni suoi amici, quelli degli uffici che avevano avallato l’esproprio alla collettività. Preparò per il pranzo una ricca polentata accompagnata da gustosi manicaretti, ma, nonostante gli sforzi, non fu possibile accendere il fuoco e dare il via alla cottura della polenta in quanto gli Gnomi, bene appostati, soffiavano sul fiammifero e sul fuoco che, appena acceso, veniva spento immediatamente. Provando e riprovando, i fiammiferi disponibili terminarono ed il pranzo non si poté consumare.
Quell’incontro che doveva soddisfare e ripagare l’aiuto che gli invitati avevano dato, si concluse nella insoddisfazione generale, mangiando fette di pane con olio. Di questo gustoso insuccesso la Civetta, il Gufo, la Poiana, il Falco, lo Scoiattolo, la Lepre, la Tortora, il Topo, la Volpe ed il Riccio e tutti gli altri risero a crepapelle. Chi accovacciato sui rami e chi seduto alla base di un pino commentarono le grandi capacità degli Gnomi e si rallegravano della idea che avevano avuto di chiamarli in loro aiuto. Naturalmente gli interventi degli Gnomi non potevano essere continui. Trasferirsi dal Vallone al Pianoro richiedeva una fatica che non erano in grado di sostenere ogni giorno ma, quando le condizioni atmosferiche lo permettevano, con grande gioia si lasciavano trasportare dal vento. Nonostante tutto Peppe non era uomo da arrendersi ai primi insuccessi e voleva rimediare la brutta fi gura fatta in occasione della mancata polentata. Peppe era disperato e si stava rendendo conto che in questo susseguirsi di disavventure c’era qualcosa di misterioso che non era in grado di contrastare. Ma, quello che maggiormente lo infastidiva era la gioia che mostravano gli abitanti del bosco in occasione di ogni suo insuccesso. Anche gli Gnomi erano soddisfatti del caos che creavano con i loro interventi nel “regno” di Peppe e ne godevano soprattutto perché colpivano un uomo che meritava di essere punito, per l’egoismo che lo distingueva. Da qualche giorno stava accadendo però che gli abitanti del bosco osservavano il modo in cui Peppe si comportava. Lo vedevano girare nel suo recinto come fosse un animale in gabbia. Lo Scoiattolo che aveva la tana sul pino che sovrastava la roulotte di Peppe riusciva a seguirne tutti i movimenti e commentava con gli altri che il modo con il quale Peppe passava il tempo non era normale. Questa impressione fu condivisa dagli altri ed il mutamento era avvenuto da quel pomeriggio nel quale era rimasto chiuso nel recinto insieme ad alcuni suoi amici. Si era verificato infatti, qualche giorno prima, che dopo una ottima merenda consumata allegramente, gli Gnomi avevano messo in atto un altro colpo mancino.
Mentre gli ospiti si apprestavano a tornare a casa e ad uscire dal recinto con le loro auto, si accorsero che il cancello era chiuso, il lucchetto serrato e, nonostante le ricerche la chiave per aprirlo era introvabile. Si videro bloccati. Ci furono vivaci proteste ed alla fine per superare la incresciosa situazione fu necessario aprire un varco nella rete di recinzione. Quel fatto certamente, assommato a quelli accaduti in precedenza, avevano scosso seriamente Peppe e, forse, la sua testarda certezza cominciava a vacillare. Gli abitanti del bosco ( che non erano cattivi), pensarono che lo stato di depressione di Peppe fosse dovuto a quanto essi insieme agli Gnomi avevano architettato. Se ne dispiacquero e cominciarono ad avvicinarlo per parlargli. Intanto avevano ringraziato gli Gnomi del “lavoro” svolto e, considerata la situazione, li pregarono di interrompere gli interventi. Pensavano che i fatti accaduti avessero aperto una breccia nelle convinzioni di Peppe e per sincerarsene il Cuculo azzardò il primo contatto accostandosi a Peppe che seduto su di un tronco di albero a testa bassa, meditava. Accortosi che non veniva scacciato azzardò a parlargli e gli chiese cosa lo turbasse e perché da qualche giorno si mostrasse così assente a ciò che lo circondava. “Sto male” rispose Peppe. Il Cuculo chiamò gli amici che spiavano la situazione e tutti fecero gruppo attorno all’uomo. Iniziò così un dialogo tra lui e gli amici del bosco che solo qualche giorno prima era impensabile potesse verificarsi. Il Gufo che tutti ritenevano fosse il saggio della brigata si sentì in dovere di iniziare il discorso e disse: “Peppe tu sei affetto da una malattia che colpisce molti uomini alcuni dei quali si sanno curare guardandosi attorno e aprendosi al prossimo, altri no, restando chiusi in se stessi come stai facendo tu, che rimani attaccato a ciò che ti appartiene con il timore che il prossimo voglia derubarti. Io penso che tu stia attraversando un periodo di incertezza.” “Ma voi” disse Peppe “siete la causa del mio male, mi avete contrastato mentre sulla mia terra stavo facendo qualcosa che mi interessava”. “Fermo” disse il Gufo ” qui c’è la chiave del tuo malessere. Stavi facendo qualcosa per mostrare a te stesso e agli altri, il tuo potere su questo frustolo di terra pur sapendo che interrompendo questo sentiero recavi danno a coloro che abitualmente vi transitavano. Il tuo male è qui ! ” ma questa è roba mia” ribatté Peppe. “Alt”, gli fece il Gufo chiedendogli: tu come hai avuto questa terra?” “Dai miei genitori”, rispose Peppe. E il Gufo incalzò ” ed i tuoi genitori da chi l’hanno avuta?” “A loro volta dai loro genitori” disse Peppe. “Andando avanti in questa maniera” riprese il Gufo “arriviamo all’inizio del mondo, a quando il Creatore lo fece e lo affi dò a tutti gli esseri che aveva creato. In quel giorno la terra, i mari, i boschi erano di tutti e di nessuno. Tutti avevano la possibilità di viverci senza che un proprio simile potesse vantarne la proprietà. Era un bel vivere per tutti, ma Eva ne fece una delle sue e quello che era ben fatto venne profondamente cambiato.
Quello che poi peggiorò la situazione avvenne quando due fratelli in un immenso prato parlavano ed uno di essi, interrompendo il dialogo tracciò, con il bastone che aveva in mano, un segno sul terreno dicendo che tutto quello che era al di qua del segno tracciato era suo e nessuno poteva vantarne diritti. Il fratello divertito e incredulo fece un salto e scavalcò il segno appena tracciato. Il primo, tenendo fede a quanto aveva detto, lo uccise. Tanti, tanti anni fa cominciò così una tragedia che da quel giorno si ripete frequentemente e sconvolge il mondo. Gli uomini cominciarono a non essere più soddisfatti del loro stato e iniziarono a guardare con desiderio ciò che apparteneva agli altri, al proprio vicino. Capirono che con la violenza potevano aumentare ciò che già possedevano. Il più forte o il più cattivo divenne il più ricco, colui che non voleva o non sapeva esprimere violenza, il più povero. Forse… così nacque la proprietà di cui oggi l’uomo è geloso, tu sei geloso. Prima le violenze venivano espresse uomo contro uomo, poi famiglia contro famiglia poi, con l’andar del tempo, gli scontri si ampliarono e divennero paese contro paese fi no a quando si fronteggiarono l’insieme di paesi e gli scontri divennero guerre. Ce ne sono state tante e, purtroppo molte altre seguiranno. Ci furono guerre di liberazione, altre dette sante, alcune durarono cent’anni, altre quaranta. Non potendo dar loro altri titoli, si cominciò a numerarle: prima, seconda, terza guerra mondiale. Comunque fosse chiamata, la guerra aveva sempre un risultato certo: la distruzione, la morte, la violenza, la fame. Iniziava sempre con grandi proclami inneggiando alla giustizia e alla libertà ma, in verità, lo scopo era quello di togliere agli altri ciò che non si possedeva”.
Il Gufo proseguì dicendo: “anche noi abitanti del bosco subivamo le conseguenze delle pazzie degli uomini. Infatti soggiacciamo alla distruzione dei boschi dove abitavamo e dei prati e dei campi dove abitualmente pascolavamo trovando il cibo per il nostro sostentamento. Quello che l’uomo non ha capito, nonostante i disastri che nei secoli si sono ripetuti, è il fatto che ogni guerra ne prepara inesorabilmente un’altra. Infatti, il giorno dopo la sconfitta chi l’ha subita si prepara alla rivincita e chi ha vinto si riarma per difendere ciò che ha prepotentemente conquistato. Peppe, perdonami se mi sono lasciata trasportare dai miei sentimenti ma, ne ho viste e subite tante che dinanzi alla cattiveria non so trattenermi. Ho capito che la proprietà privata è un furto nei confronti della collettività e che alcuni individui pur di espandere i propri domini sono disposti ad alimentare il male indiscriminatamente. La proprietà, la violenza, l’incontinenza sono tre malanni che a braccetto vanno alla ricerca del potere”. Intanto la brezza che saliva dalla vallata faceva volteggiare le foglie che l’arrivo dell’autunno aveva già ingiallito e condannato. Con esse svolazzava un foglio di giornale che spinto dalle correnti d’aria a volte veniva portato in basso ed a volte lo faceva girare sopra le cime dei pini. Fece l’ultima giravolta e si posò nei pressi del gruppo. Il Topo svelto si precipitò a raccoglierlo. Gli amici del bosco erano assetati di notizie, amavano sapere cosa avveniva nel mondo dell’uomo e solo raramente riuscivano ad esserne informati. Lo consegnò a Peppe che era l’unico del gruppo che aveva la capacità di decifrarlo. Le notizie riportate non erano buone. A grandi lettere si diceva che le banche erano in crisi e che sarebbero venuti tempi duri. Peppe si allarmò per la fi ne che avrebbe potuto fare il suo gruzzolo in banca, ma questa non fu l’unica brutta notizia. Ne seguirono altre ancora più allarmanti: il petrolio che muove il mondo scarseggia e chi lo possiede ne ha portato il prezzo alle stelle. Ora ci si domandava quali saranno le conseguenze? Era tutto scritto in lettere cubitali ed erano notizie che non lasciavano pensare ad un domani tranquillo, ma permettevano agli amici del bosco di ribadire a Peppe che la proprietà fosse la fonte di ogni male.
Trascorse qualche giorno senza che si verificassero situazioni particolari ma, c’era nel bosco una calma pesante che lasciava pensare che qualcosa di inatteso dovesse accadere. Si era in autunno e tempo di castagne. Decisero di riunirsi per fare una merenda con le primizie della stagione e in un tardo pomeriggio, come si usa fare in certe circostanze, il gruppo si era accomodato attorno al fuoco sul quale imperava un padellone pieno di grossi marroni che già si stavano cocendo. Il profumo che si diffondeva nel bosco costituiva un richiamo irresistibile. Qualcuno impensierito ruppe l’indugio gridò che il fuoco aveva fatto il suo lavoro ed i marroni erano pronti per essere mangiati”. “No” disse Peppe che aveva ripreso la sua abituale vivacità,” manca ancora qualche minuto. State calmi so io quanto e opportuno tirarle fuori.” Nei minuti che seguirono tutti avevano l’acquolina in bocca e gli occhi puntati sul padellone in attesa del via di Peppe che arrivò presto. Fu una merenda fantastica. Intanto nell’allegria generale Peppe aveva abbandonato quel velo di insofferenza che lo turbava. Si adeguò alla allegria generale, ai canti, agli squittii degli amici che lo circondavano. Il Picchio capì che era giunto il momento da tutti atteso. Richiamando l’attenzione dei presenti, si alzò in volo e andò a posarsi sul cancello che chiudeva la parte più in alta del recinto. Si fece un silenzio profondo, era giunto il momento in cui si raccoglievano i frutti di mesi di lavoro trascorsi insieme agli Gnomi. Il Picchio cominciò a picchiare con il becco contro le sbarre del cancello producendo un rumoroso ticchettio. Peppe capì, lasciò il tronco d’albero sul quale sedeva e, saltellante, quasi volesse recuperare il tempo perduto nella incertezza, si diresse verso il cancello e lo spalancò. Non si fermò, con passo altrettanto allegro si diresse verso il cancello posto in basso, sul lato opposto, preceduto dal Picchio e, allegramente spalancò anche quello. Fu un momento di gioia per tutti compresi gli Amici del bosco che con l’aiuto degli Gnomi erano riusciti a far capire a Peppe quanto fosse bello vivere in armonia con il prossimo. La festa che quel pomeriggio iniziò con le caldarroste al calar del sole terminò molto tardi, o meglio, terminò il mattino seguente. Dopo che la luna aveva compiuto il suo arco nel cielo e le stelle, una dopo l’altra si erano spente. Peppe si sentiva felice e, a modo suo, cantava assieme agli altri.
Nel pieno della festa, bando all’avarizia, aprì la roulotte e mise sul tavolo, a disposizione di tutti i rifornimenti che da tempo gelosamente custodiva. Tutti beccarono e masticarono finché poterono. E, a cena ultimata, appesantiti, rinunciarono a tornare nelle loro tane. Per gli uccelli sarebbe stato difficile volare, alla Lepre ed alla Volpe difficile correre ed al Topo ed al Riccio rientrare nelle loro minuscole tane. Peppe aveva cambiato il modo di concepire il mondo e gli esseri che gli erano vicini. Dopo la prelibata merenda e un’amicizia cercata e trovata, come per incanto nel bosco, tornò la calma. Peppe si affrettò a togliere la rete che recintava il suo frustolo di bosco e la arrotolò riponendola lontano. Da quel giorno il sentiero tornò ad essere quello che era stato per tanti anni e a Peppe faceva piacere salutare i giovani che lo percorrevano. Spesso si fermava a parlare con loro per conoscere le sensazioni che provavano quando raggiungevano la cima del monte e potevano posare lo sguardo su altre cime e altre valli. Confessò che per lui, considerata l’età, era difficile seguirli ma, aveva tanto desiderio di poterlo fare. Non sappiamo se negli anni che passarono poté soddisfare questo suo desiderio. Ma ora aveva tanti amici ed è lecito pensare che con il loro aiuto sia riuscito a soddisfarlo. Fine della storia semi-seria.
La realtà di oggi non è purtroppo quella raccontata perchè vede ancora Peppe prigioniero delle sue debolezze chiuso nel suo recinto di grettezze che non è riuscito a scrollarsi da dosso. Gli Amici del bosco non disperano e sono in attesa di un ravvedimento. I giovani montanari che vorrebbero percorrere il sentiero soffrono, e chissà ancora per quanto tempo, nella gabbia che l’iter inesorabile degli uffici tesse loro intorno. Il piccolo mondo di Peppe fa parte di quello più grande (quello nostro) dove si dimenano miliardi di uomini molti dei quali assetati di denaro e di potere, incapaci di considerare loro simili coloro che gli sono vicini. In questo marasma mondiale anche coloro che giornalmente predicano la fratellanza sono alla ricerca continua e sistematica della roba altrui, divengono sempre più ricchi nuotando nell’oro e non si accorgono, pur predicando altruismo, che cedono ai bisognosi solamente le briciole dei loro averi. Purtroppo si vive nella certezza che il peggio dovrà ancora venire e, se questa pessima previsione dovesse avverarsi, è bene sperare ad un ritorno di una nuova Arca di Noé che riconduca tutto e tutti all’anno zero.
William Scalabroni
Ascoli Piceno, 31 maggio 2009,
9a Giornata nazionale dei Sentieri