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L’alpinismo sui Sibillini

L’ESPLORAZIONE

La Storia alpinistica dei Sibillini sfuma e si perde nel passato, come le vicende della gente che ha vissuto ai piedi di queste montagne. Non conosciamo gruppi montuosi così “umani”, la cui storia cioè e quella delle popolazioni sono tanto intrecciate. Per questo siamo profondamente convinti (anche perchè le “strade” di transumanza, di comunicazione tra Marche ed Umbria passavano vicino alle vette) che le salite estive delle montagne siano state percorse da sempre dalla gente del luogo, dai pastori, i quali sono arrivati ed arrivano in posti per noi impensabili. Di solito la storia alpinistica, ignorando le salite dei locali, che non ci tramandano documenti scritti, prende in considerazione solo quelle dei cittadini. Ed anche noi, dovendo appoggiarci a documenti, tracceremo una storia certamente incompleta, talvolta falsa.

Notizie di salite “ufficiali” risalgono a molto lontano. La più nota è quella di Antoine De la Sale, cavaliere provenzale, che il 18 maggio 1420 sale sulla Sibilla. In una lettera alla duchessa Agnese di Borbone (“Il Paradiso della Regina Sibilla”) De la Sale fa un resoconto molto interessante e pittoresco dell’ascensione effettuata da Montemonaco. Dalla lettera si deduce, tra l’altro, che la Sibilla certamente, ed il Vettore molto probabilmente, erano montagne già salite. Diversi naturalisti si spingono nei secoli successivi, saltuariamente, sulle cime, a scopi scientifici; tra questi U. Aldovrandi che nel 1557 sale al M. Rotondo, P. Spadoni che il 16-7-1807 raggiunge il Vettore passando per il Lago di Pilato e la Sella delle Ciarle.

La prima ascensione invernale di cui abbiamo notizia è quella effettuata il 4-3-1876 da Damiano Marinelli, socio della Sezione Fiorentina del CAI, con la guida G. Cicoria di Visso ed il pastore Angelo Capocci di Gualdo, i quali salgono da F. di Presta al Vettore (allora M. Pretara), scendono al Lago e risalgono per ripidi pendii di neve ghiacciata (il ghiaione SE?) presso la cima del M. Redentore (allora M. Vettore) e per i Piani di Castelluccio tornano a Visso. Il 28-3-1892 i romani R. Garroni, C. Gavini, O. Gualerzi compiono la prima salita invernale della cresta del Redentore dalla cima del Vettore a Castelluccio. Può essere utile, per far capire cosa significava nel 1800 un’ascensione sui Sibillini, riguardo a mezzi, tempi e distanze, riportare alcuni dati relativi a questa salita: il 24 Roma-Spoleto in ferrovia, poi in carrozza a Norcia; il 25 Norcia-Castelluccio a piedi; 26 e 27 sosta a Castelluccio per il maltempo; 28 ascensione; 29 ritorno a Norcia e 30 a Roma. I Sibillini cominciano ad essere frequentati un pò meno saltuariamente ed alla fine del secolo Castelluccio divene un centro alpinistico importante, dotato anche di una locanda (tenuta da Giovannino delle Grotte, “il vero amico degli alpinisti”, come dicono le relazioni dell’epoca). Alcuni pastori e valligiani più esperti ed intraprendenti fanno da guide ai cittadini che vengono a salire le montagne (e diventano protagonisti anche di prime ascensioni invernali, come abbiamo visto). E’ ancora con una di queste “guide”, Domenico Giannini di Montemonaco che nel 1914 Savio Carlo, di Roma, effettua la prima salita di roccia di cui abbiamo notizia. Durante una lunga traversata dalla Sibilla alla Priora, giunti al Passo Cattivo i due si portano alle falde del P. Berro che raggiungono “dopo una lunga e difficile arrampicata di rocce che mi fece rimpiangere la mancanza della corda amica” (probabilmente il versante Sud).

LE PRIME SALITE ALPINISTICHE

Bisogna giungere però al 1928 perchè l’esplorazione alpinistica diventi sistematica. Sono B. Marsilii, A. Trentini e P.E. Cichetti (Aquilotti del G. Sasso e l’Aquila) ad inaugurarlo con la prima ascensione del versante SE del Vettore. Su questa scia entra in azione un personaggio che per trent’anni sarà uno dei protagonisti e degli animatori principali dell’alpinismo sui Sibillini, oltre che profondo conoscitore e studioso di queste montagne: Angelo Maurizi, milanese d’origine, residente a Castelsantangelo. All’inizio egli effettua alcuni tentativi di carattere esplorativo (parete Est M. Bove, con E. Tedeschi, 1929; parete N Pizzo del Diavolo, con lo stesso e G. Maurizi, 10-9-1930; spigolo NE Pizzo del Diavolo, con G. Maurizi, F. Petrucci, G. Rinaldi, 1931) o salite molto facili (parete NO Pizzo del Diavolo, con G. Maurizi, Rinaldi, Petrucci, Jori, 1930), di assaggio ai veri problemi da risolvere. Il divario tecnico rispetto alle Alpi è enorme ed è dovuto fondamentalmente alla mancanza di alpinisti frequentanti il gruppo, i quali preferiscono la più interessante Catena del G. Sasso che offre maggiori possibilità di arrampicata.

Il biennio 1932-34, in cui la figura di spicco è l’aquilano D. d’Armi, segna un forte salto di qualità; si passa dalla classica conquista delle pareti, alla più moderna soluzione di problemi particolari. Così non solo vengono vinte le pareti Est (D. d’Armi, A. Maurizi, 1932), e Nord del Pizzo del Diavolo (d’Armi, G. ed A. Maurizi, 1932), Nord del M. Bove (A. Maurizi, R. Taddei, 1934), ma si individuano torrioni con problemi specifici (G. Gendarme, Camino Meridionale, A., G. Maurizi, E. De Simone, 1934) e si ricercano vie in cui sia dominante il fattore “dirittura” (Direttissima al Colletto del G. Gendarme e, soprattutto, Direttissima alla parete Est del Pizzo; d’Armi, Maurizi, 1934). Questa ultima rimarrà per 25 anni la più difficile salita del Gruppo.

La mancanza di strade di avvicinamento ed i luoghi di partenza lontani rendono più problematiche le salite e non favoriscono l’evoluzione dell’alpinismo. Si parte a piedi da Ussita per arrampicare al M. Bove e da Castelsantangelo per il Pizzo del Diavolo. Tenda canadese fatta a mano sulle spalle, si pernotta al Lago di Pilato prima e dopo l’ascensione. Si sente la necessità di punti d’appoggio più comodi; la Sezione dell’Aquila, facendosi interprete di questa esigenza, costruisce nel 1933 un rifugio al Lago di Pilato, e lo dedica a P.E. Cichetti, morto tragicamente al G. Sasso. Il rifugio, edificato in una zona ritenuta immune da pericoli oggettivi, viene distrutto. nell’inverno successivo, da una colossale valanqa precipitata dal Vettore, che lo fa letteralmente esplodere, soagliandone i rottami fin sotto la parete E del Pizzo (il 1934 è un anno di valanghe micidiali per i Sibillini: precipitano dal M. Vettore, M. Zampa, M. Sasso Tetto con 8 morti a Casale di Montegallo, 11 a Rubbiano, 19 a Bolognola).

Prima che riprenda l’attività passa un lungo periodo che comprende gli anni poco allegri della guerra. L’attività riprende nel 1947 quando viene organizzata una campagna alpinistica per risolvere alcuni importanti problemi del Pizzo del Diavolo, alla quale partecipano i migliori alpinisti aquilani assieme al solito Maurizi ed ai suoi amici maceratesi. A. Bafile, con una delle più belle arrampicate del gruppo, vince (assieme a d’Armi e Maurizi) lo spigolo NE del Pizzo del Diavolo e risale (con Vittorini e Berardi) quello della P. Cichetti; questi ultimi superano la parete Est per una nuova via. L’11 agosto 1948 A. Maurizi, G. Maccari, P. Klanschnigg attaccano la parete Est del M. Bove, ancora inviolata, ma a 100 m dalla vetta vengono sorpresi dalla notte e da un temporale; il giorno dopo ridiscendono tutta la parete in corda doppia.

L’ALPINISMO MODERNO

Altro lungo periodo di sosta nell’attività alpinistica. Nel 1955, con un belI’exploit, i romani P. Consiglio e F. Alletto risalgono lo spigolo NE del M. Bove, effettuando la più bella salita di questa montagna.

Una nuova generazione di alpinisti comincia a frequentare i Sibillini nella seconda metà degli anni ’50. Si tratta di due gruppi, uno di Macerata, I’altro di Ascoli Piceno; il primo formatosi attraverso l’insegnamento di A. Maurizi, ora residente in quella città il secondo a stretto contatto con la SUCAI – Roma. Nel 1957 i maceratesi, soprattutto con M. Moretti, G. Mainini, P. Perucci oltre a risolvere al M. Bove, il problema ancora aperto della Est, iniziano quella ricerca di problemi particolari che al Pizzo del Diavolo, per via della roccia migliore, era cominciata 25 anni prima ad opera di d’Armi e Maurizi. Così alla fine dell’anno viene portata a termine, da Moretti e Trita, la via Maurizi del ’48 sulla parete Est e vengono tracciati due nuovi itinerari sulla Nord, uno sullo Spalto Orientale (Moretti, Maurizi) e l’altro su quello Centrale (Moretti Perucci).

Negli anni successivi, con un periodo di continuità fino al ’62, altre nuove salite vengono effettuate, soprattutto sulla parete Est (Moretti, Alviti, Perucci, 1958; Mainini, Natali, 1960).

Nel frattempo il gruppo degli ascolani, a partire dal 1956, inizia al Pizzo del Diavolo la sistematica ripetizione delle vie classiche e nel 1958 viene aperta la prima via del Gruppo Alpinisti Piceni, appunto la via GAP alla P. Maria, (Perini, Calibani), costituitosi quell’anno ad Ascoli Piceno in rottura con la sezione del CAI ed animato da un forte impulso verso l’attività sociale oltre che individuale. 11 1959 è un anno di attività notevole e segna un salto di qualità. Il GAP organizza un accantonamento in cui vengono praticamente ripetute tutte le vie del Pizzo del Diavolo al fine della pubblicazione di una “guida del Monte Vettore”. Il fortissimo spirito di corpo del gruppo e la competizione che s’instaura con quello di Macerata, nell’ambito del più generale clima competitivo presente nell’alpinismo italiano di quegli anni, sono le principali cause dell’accelerazione che subisce l’attività alpinistica. Alla fine dell’anno 7 sono le vie nuove tracciate al Pizzo. Eccole in ordine cronologico: via Centrale alla parete Est (Calibani, Perini), Direttissima alla Testa del G. Gendarme, via della Riga al Castello e via di mezo alla parete Est (Moretti, Mainini), via nuova al Colletto del G. Gendarme e Direttissima alla P. Cichetti (Florio, Calibani), via della Fessura alla parete Nord (Saladini, Perini).

Le due vie nuove al G. Gendarme e la via Vagniluca-Cecchini al Castel lo (1962), che richiedono una tecnica non applicata precedentemente (I’ar tificiale), rimarranno per più di vent’anni le più dure della Catena. Del 1960 è una delle vie più belle del gruppo, la Florio, Calibani alla parete E. Al Monte Bove il perugino G. Vagniluca, le cui capacità si erano rivelate nella soluzione della difficile parete Est del Castello (Pizzo del Diavolo) e che sarà protagonista dell’alpinismo invernale, percorre in solitaria diverse vie, tra cui spicca quella nuova sulla parete Nord dello Spalto Centrale (1966). Lo stesso alpinista, uno dei maggiori conoscitori del Bove, nel 1969 traccia, all’estremità sinistra della parete Est, su un torrione con la roccia migliore della montagna (P. Anna) brevi ma interessanti itinerari, assieme ad altri perugini: sulla parete ESE (con Cecchini e Kamenicky), sullo spigolo NE e la parete N (con S. Arzilli).

Ancora con Kamenicky, Vagniluca risale la parete Est del Bove per un nuovo itinerario (1970) mentre nello stesso periodo Moretti percorre la Nord per due nuove vie (una sullo Spalto Centrale con G. Galluzzi, 1970, I’altra su quello Orientale con lo stesso e L. Picciolini, 1972).

I CONTEMPORANEI

Gli anni 70, dopo il balzo in avanti dell’alpinismo invernale, sono, come altrove, anni di pausa, di crescita numerica. Siamo d’accordo con quanto dicono S. Ardito e F. Antonioli nella nuova guida del G. Sasso, che il freno ad una spinta evolutiva può in parte, e specie per la nuova generazione, spiegarsi anche con lo scossone del ’68 e le sue istanze ugualitarie. Una nuova generazione di alpinisti ascolani cerca angoli diversi in cui arrampicare, zone tralasciate dagli alpinisti precedenti. Così sul versante SE del Vettore vengono aperti nuovi interessanti itinerari sulla Piramide (via Dany; S. Pagnini, E. Nardini; Alberico Alesi, S. Spinelli; 1975) e sulla Fascia Inferiore (via Giuliana, T. Cantalamessa, T. Ciarma, inverno 1976, via nuova alla sua sinistra, G. Ciarma, R. Cantalamessa, 1978), mentre sulla E della P. Cichetti c’è spazio per una nuova salita (T. Cantalamessa, G. Ciarma, 1979). E’ nel quadro di questa ricerca di nuove pareti che G. Accurti e G. Zannini del CAI di Fermo il 19-9-76, nel tentativo di vincere la friabile ed inviolata parete Est di Palazzo Borghese, muoiono precipitando da questa, dopo averne risalito circa i 2/3. Nel 1982 i maceratesi F. Trozo, A. Leggi, A. Berrè risalgono sul versante N del Bove, il Torrione della Grotta del Diavolo.

Questo è un anno di potenziamento dell’attività al Pizzo del Diavolo. I perugini P. Gigliotti e M. Marchini aprono sulle placche dello spigolo NE una variante alla via Bafile che può considerarsi una delle più belle arrampicate del Gruppo. Gli stessi, I’anno precedente, avevano salito il Pilastro S della P. Anna, al Bove, per una via breve ma dai passaggi molto duri. Le ultime salite al Pizzo ed al Vettore sono di alpinisti ascolani: A. Mari sale da solo la parete Est per la via Patrizia, G. Mazzanti e G. Stipa vincono la parete Est della P. Maria (via il poligono di Tiro); infine P.P. Mazzanti e M. Ceci, giovani dell’ultima leva, con lo Spigolo dell’Orso (Fascia Inferiore della parete SE del Vettore) elevano il limite delle difficoltà estive sinora 50 raggiunte nei Sibillini.

L’ALPINISMO INVERNALE

Prima della guerra l’alpinismo invernale si era esplicato come salite delle cime, traversate per valli e per creste (unico esempio diverso la salita, parziale, della cresta NE del M. Bicco; A. Maurizi, S. Datti, M. Mattei, 1937).

Ma dal 1956 questa forma di alpinismo comincia ad assumere carattere di continuità e subito imbocca due strade: quella delle salite di scarso interesse estivo, che d’inverno si trasformano in interessanti canali e pendii e quella delle prime salite invernali delle vie di roccia estive. Tutta la storia dell’alpinismo invernale, sino agli anni 80, sarà imperniata su queste due tendenze. Le prime salite, fino al ’63, appartengono al primo tipo: via del Canalino sul versante SE del Vettore (A. Puleggio, D. Martelli, E. Filipponi, I. Castellani, 1956) e parete Nord del Bicco (fratelli Maurizi; Moretti Perucci Alviti 1957). Il 30-3-1958 muore al Vettore per collasso cardiaco l’ascolano Tito Zilioli, dopo avere ripetuto la via del Canalino invernale (assieme a G. Teodori, F. Saladini, C. Perini). A lui è dedicato il Rifugio costruito alla Sella delle Ciaule nel 1959. Ancora salite al Vettore, che ben si presta a questo genere di ascensioni: il versante Ovest per le roccette sopra il Lago di Pilato (Mainini, Marzola, Corsalini, 1959), la cresta di Galluccio (Calibani, Romanucci, Florio; Saladini, Teodori, Perini, 1959), quella NE alla sua destra (Florio, Capponi, 1960) e la via Marsilii sul versante SE (Capponi, Romanucci, 1960).1 tempi sono maturi per il Pizo del Diavolo. Dopo diversi tentativi finalmente viene vinta, da Raggi e Capponi (1961) la bella parete Nord, per la via del canalone Nord e successivamente il canalone Maurizi alla P. Maria (F. Saladini, Alessio Alesi, 1964). Nel frattempo al M. Bove vengono percorsi i canalini della Testata della Val di Bove (Mainini e Corsalini, 1964-65. E’ la volta delle ripetizioni invernali di itinerari estivi, fra cui spiccano la prima ascensione alla parete Est del Pizzo (Florio, Saladini, 1964) risultata dall’abbinamento di itinerari diversi, lo spigolo NE dal Camino Meridionale (i romani Costantini, Del Campo, 1964) ed ancora la Est per la Centrale e la via del Camino (Fanesi, Calibani, 1967). Intanto al Bove è la volta delle pareti Nord ed Est. Un tentativo a fondo a quest’ultima era stato apportato, per la via Maurizi, da Moretti, Mainini (1961 ) i quali, per evitare il bivacco, erano scesi pressapoco dal punto raggiunto da Maurizi nel ’48. A vincere la magnifica terna delle due pareti e dello spigolo NE è G. Vagniluca, protagonista principale del decennio 1967-76. Egli risale da solo la N per il difficile Spalto Orientale (5-3-67), poi supera in 2 giorni la Est (con N. Kamenicky, 21-2213/1970) per un nuovo itinerario, con un’arrampicata molto pericolosa su uno sperone di roccia fortemente innevato, a destra della P. Anna. Questa salita, la più difficile tra quelle sinora percorse nei Sibillini ed una delle più importanti negli Appennini, fa compiere un passo in avanti all’alpinismo invernale nel Gruppo. La stessa cordata vince la corsa allo spigolo NE, battendo in volata (il 18-19/12/1971) altre 4 cordate de l’Aquila, Macerata, Ascoli Piceno e Jesi. Nello stesso anno viene percorsa anche la via Maurizi-Taddei sulla parete Nord (G. Alessandrini, L. Liuti, CAI Jesi).

Agli inizi degli anni 80 (Florio risaliva da solo, nel ’74, la difficile parete Est de ll Pizzo al Vettore) I’evoluzione della tecnica di progressione e delI’attrezzatura dà un nuovo impulso alla ricerca di salite esclusivamente su neve e ghiaccio cercate nei momenti più adatti e favorisce, come massima espressione di questo tipo di salite, la ricerca di ghiaccio di cascata. Ritroviamo M. Florio, a cui va il merito di avere promosso, con vari compagni, tra cui F. Alessi e L. Castelli, una sistematica ricerca, soprattutto al Vettore, di canaloni e vie di neve e ghiaccio. Lunghi ed interessanti sono gli itinerari aperti sull’imbuto NE del M. Vettore, sul versante E e SE dello stesso, ed infine sulla parte alta della N del M. Sibilla (imbuto le Vene). Salite in cui la ricerca delle “condizioni” si è protratta a volte oltre i limiti del calendario invernale. E’ in questo ambito che si collocano le salite di A. Mari (1 a salita della parte alta dell’imbuto le Vene 1979, con S. Mari e G. Eleuteri; 1 a salita della N di Cima di Lago, 1980, da solo) il quale, con la cascata le Vene (percorsa fino a 4 m dall’uscita con S. Mari e 0. de Vincentis) spinge in alto il limite delle difficoltà su ghiaccio finora raggiunte sui Sibillini e, probabilmente, su tutto l’Appennino centro-meridionale. La cordata che emerge in quest’ultimo periodo e che fa compiere un forte balzo in avanti all’alpinismo invernale è quella dei perugini M. Marchini e P. Gigliotti. Essi da una parte risolvono problemi che prima erano ritenuti molto pericolosi o impossibili, cercando, anche di notte, con la veloce tecnica della piolet-traction, di limitare i pericoli oggettivi (la via della Pera, sulla parete Nord del Bove, 1980 e la nuova via sulla Est, 1982 sono attualmente le più complesse ed impegnative salite invernali dei Sibillini, cascate escluse; e ancora le pareti Nord di P. Anna, 1982 e dello Spalto Centrale, 1983); d’altra parte iniziano la metodica ricerca, in questo Gruppo, di cascate di ghiaccio, in alcune delle quali incontrano difficoltà molto forti (fra queste, La Foce, la Costa d’Asino ed altre, sempre in Val di Panico).

Ma la loro realizzazione più originale, è l’Alta Via Alpinistica dei Sibillini (1981), una lunga, stupenda traversata invernale in ambiente isolato, nel corso della quale percorrono, in 5 giorni, la N del Bove (via Maurizi-Taddei), il Canalino sinistro in Val di Bove, la cresta S, in discesa, del Berro, salito per la Forcella della Neve, il versante N della Sibilla, la E del Palazzo Borghese.

LO SCI

Agli inizi degli anni ’30 anche nei Sibillini, come in altri Gruppi montuosi, scoppia il boom dello sci. Per favorirne lo sviluppo, tre rifugi vengono costruiti in questo periodo, ad opera della Provincia di Perugia, delle Acciaierie Terni e della Sezione del CAI di Ascoli Piceno, nella zona di Forca Canapine, che rapidamente diventa un importante centro di sports invernali (1500 sciatori vi affluiscono nel 1931 in occasione di gare nazionali). Parallelamente allo sci da pista si sviluppa in modo graduale, sin dal 1928 (è l’anno della prima via di roccia), lo sci-alpinismo, ad opera soprattutto dei fratelli Maurizi, F. Petrucci ed L. Brandimarte di Castelluccio. Dapprima si raggiungono i valichi della Catena principale (F. Viola, P. Cattivo, Forca della Cervara) collegando i paesi (Castelsantangelo, Castelluccio, Visso) con traversate per le valli o lungo le dorsali del Settore Occidentale (Val Canatra, M. delle Rose ecc.), poi si punta alle cime, alle creste, alle valli della Catena principale. Ad aprire questo periodo di salite più impegnative sono G. Paloni, L. Cappelli, G. Pala-Norcini di Ascoli Piceno, i quali il 25-2-1931 effettuano la prima ascensione del Vettore, da F. di Presta; successivamente vengono salite le cime di P. Borghese e dell’Argentella da Ovest (G. Maurizi, Petrucci, 12-4-31), del M. Bove Sud da Frontignano (A. e G. Maurizi, Tedeschi, gennaio 1930) e da Castelsantangelo ad Ussità per la Val di Panico (i Maurizi e Brandimarte, 13-3-33). Un forte salto di qualità, dal punto di vista tecnico, viene effettuato con le traversate della cresta del Redentore, da F. di Presta a F. Viola, attraverso la Sella delle Ciaule ed il Vettore (S. Gillarduzzi di Cortina d’Ampezzo e M. Priori di Ascoli P., 26-3-34), F. di Presta – Castelsantangelo attraverso la Sella delle Ciaule, il Lago di Pilato e F. Viola (P. Monaco, i Maurizi, 30-31 gennaio e 1 febbraio 1932).

Dopo il ’34, con un’attività ridotta, si continua a salire le cime, soprattutto del Settore Occidentale, da parte di A. Maurizi da solo (M. Cardosa, 1937) o con il fratello (M. Lieto, 1939 e M. Porche, 1943).

Dopo una sosta di una decina di anni inizia Porche un secondo periodo di attività in cui, da una parte si completa l’esplorazione sistematica del Gruppo con le salite alle cime della Sibilla da Sud (Videsott, Perucci, Governatori Riganelli, di Macerata, 1953), C. Vallelunga dalla Sibilla (Saladini, Calibani 1958), P. Tre Vescovi dalla Forcella Bassete (Mainini, Corsalini, 1962), M Rotondo dalla F. del Fargno (gli stessi e R. Beretta, 1972); dall’altra, com’era avvenuto per le pareti di roccia, si cominciano ad osservare i pendii con lo scopo di ricercarvi discese e sensazioni nuove. Una nutrita serie di itinerari all’interno di una vasta area di salite sempre più frequentate, viene tracciata in tutto il Gruppo, soprattutto ad opera dei maceratesi Mainini e Beretta. E’ anche l’epoca delle lunghe traversate per cresta, tra le quali spicca quella di F. Saladini, in giornata (1965), da Isola S. Biagio a Foce, attraverso la Sibilla, il Vettore e la cresta del Torrone: la più bella cavalcata di creste con gli sci dei Sibillini e forse dell’intero Appennino. E’ abbastanza significativo notare, ai fini dell’evoluzione di questo sport, che i campi d’azione dello sci alpinismo medio (Settore Occidentale) e di quello di punta (cime e traversate della Catena principale) degli anni ’30, sono diventati ora rispettivamente quelli del fondo escursionistico e dello sci-alpinismo medio.

Lentamente, al piacere di salire le cime e di provare la velocità degli sci sulla neve, si sostituisce la ricerca delie difficoltà tecniche e di itinerari nuovi. Questa ricerca si esprime, isolatamente, anche con il percorso di alcuni ripidi canaloni, che anticipa quanto avverrà intorno agli anni ’80 (canalone dei mezzi litri sul versante SE del Vettore, Saladini 1962, canaloni Nord del Bicco e del M. Bove N, Beretta, Mainini, 1971). A partire da questi anni la ricerca di canaloni e pendii diventa sistematica. In questa nuova ultima fase lo scopo della salita è sempre meno il raggiungimento di una cima con gli sci e sempre più la discesa fine a se stessa; la montagna si trasforma da meta ad elemento ambientale. Tra una serie di discese su terreno ripido, lentamente emerge la pratica di uno sci-alpinismo che può essere considerato intermedio tra quello tradizionale e quello estremo. Fra gli altri, oltre al già citato canalone N del M. Bove, il canale O del Redentore (il più vicino alla cima), il versante N della Priora (L. Liuti, 1983) e soprattutto l’imbuto NE del Vettore (Saladini, Ciarma, 1982) certamente rientrano in questa categoria.