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Itinerario 8

Località di partenza: Santa Maria di Acquasanta 400 m circa

Località di arrivo: Pizzo dell’Arco 1011 m

Dislivello complessivo: 700 m circa

Orario complessivo: 4.30/5.30 ore

Difficoltà: E

Segnaletica: itinerari n. 414, 402, 417, 416

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Bello da mozzare il fiato

Da Santa Maria di Acquasanta a Pizzo dell’Arco per Valle Saggia

Discesa: per Cocoscia

Accesso

Da
Acquasanta Terme prendere per Santa Maria. Al paese si prende la strada
che di fianco al bar entra nel centro abitato. È consigliabile lasciare
l’auto sulla piazza che si incontra dopo 100 m. Si segue la strada che
scende verso il fiume seguendola fino al vecchio lavatoio, nei pressi
del capannone in uso all’ASA (Associazione Speleologica Acquasantana,
400 m circa).

Commento

Chiunque
sia passato per Acquasanta non può non aver notato l’aguzza cima che
sovrasta il paese verso Nord. È Pizzo dell’Arco. Panoramico, a picco
sulla valle, rappresenta una ottima meta per una gita escursionistica.
Quello che qui proponiamo è l’itinerario che sale da Santa Maria e
passa per il diruto borgo di Valle Saggia e per quello di Cocoscia,
anch’esso semi abbandonato ma in via di ristrutturazione.

Il
percorso è molto vario: risale l’alveo del Tronto, aperto ed assolato
nella prima parte, boscoso ma con affacci panoramici nella seconda,
rivolta a nord, dove il castagno la fa da padrone ormai da secoli. E
secolari sono anche i grandi esemplari che potrete ammirare alla base
del Pizzo.

Il tratto di cresta
successivo alla cima è in assoluto il più suggestivo ed impressionante
del gruppo, fra grandi lastronate di arenaria a picco sulla valle di
Novele, con le propaggini meridionali dei Monti della Laga davanti e la
valle del Fosso di Noce Andreana (sopra Quintodecimo) con il Monte
Scalandro in primo piano. L’affaccio è mozzafiato, ma bisogna stare
attenti a non sporgersi troppo in caso di roccia umida o, peggio,
bagnata.

L’ultimo tratto è su una vecchia
pista che permette un rientro più agevole e tranquillo. Consigliata una
visita a Venamartello, vero balcone naturale su buona parte della valle
del Tronto.

Relazione

Il
sentiero (414) inizia con alcune svolte, si abbassa fino al fiume e lo
attraversa sul ponte-canale recentemente rinforzato con visibili travi
in ferro (345 m). In questo primo tratto si notano purtroppo solo brevi
tracce dell’antico selciato, di notevole ed accurata esecuzione. Si
continua (ignorare il bivio a sinistra in corrispondenza di una vecchia
casa) seguendo il sentiero che risale con frequenti svolte la ripida
cresta fino ad un bel ripiano erboso posto subito prima dei ruderi di
Vallesaggia (600 m, 0.50 ore, incrocio con il sentiero 402).
Oltrepassati i ruderi (non fermarsi sotto i muri pericolanti!), al
bivio si prende a destra (a sinistra si va a S. Vito) la traccia
pianeggiante. Dopo circa 200 m questa si biforca e si segue quella che
si alza a sinistra (l’altro sentiero, ormai in completo abbandono,
continua per Venamartello) con varie svolte tra salti di arenaria fino
ad uscire sulla cresta. Si cambia versante e si incrocia una pista
proveniente dalla sottostante frazione Cocoscia che si addentra
pianeggiante nel bosco nei pressi di un’opera di presa con piccola
fontanella (bivio, 700 m circa, 0.20 ore). Si segue la pista tenendosi
in quota (itinerario n. 417) per alcuni minuti poi, dopo lieve discesa,
la si lascia per risalire a sinistra su largo sentiero che risale
diagonalmente il bosco. Molto evidente, anche se a volte confuso tra la
vegetazione ed altre tracce, il sentiero inizia ad aggirare un rilievo
della cresta (Capo Castello) facendosi più esile e superando trattini
di arenaria affiorante in zone ripide.

Si
giunge infine ad un’ampia radura con esemplari giganteschi di castagni.
Ci si dirige verso la cresta seguendo una larga traccia che poi si
porta sulla destra a risalire il ripido pendio. Quando la pista torna
in piano la si lascia per salire a sinistra verso la cresta sulla quale
si individua un sentierino che la risale tra i lecci che ostruiscono il
lato sinistro. Tra affacci sulla sottostante Valle del Tronto, si
aggira a destra l’ultimo saltino, si torna a sinistra tra i lecci
sbucando infine sulla aerea vetta di Pizzo dell’Arco, dalla quale si
gode un eccellente panorama sulla Valle del Tronto e sull’antistante
catena della Laga (1011 m, 0.55 ore, attenzione a non sporgersi!).

Si
ripercorre il breve tratto finale, poi si continua sulla cresta NE del
Pizzo tra arbusti di leccio e ginepro; da questo punto si mantiene il
filo di cresta che, in corrispondenza di banchi di arenaria, offre
vertiginosi affacci sul sottostante Fosso di Novele. Si raggiunge
infine, sempre sulla cresta ora ampia e boscosa, la pista che sale dal
basso (1000 m circa, 0.30 ore, bivio con itinerario n. 416).

La
si imbocca in discesa e la si segue fedelmente. Questa dopo aver
traversato un fosso (702 m) aggira una cresta e si abbassa con tornanti
su di un castagneto. Raggiunto un bivio (itinerario n. 402, 745 m, 0.45
ore) si prosegue a destra e, ad una curva sottostante, si prende il
netto sentiero che verso destra permette di tagliare un tratto di
questa strada. Ripresa la pista più in basso, si rasenta una bella
piana ancora a tratti coltivata e si raggiunge in breve Cocoscia (690
m, 0.20 ore).

Al paese, si prende il
sentiero che inizia poco sotto la casa davanti al fontanile. Dopo una
piana, si raggiunge in breve il bottino di presa incontrato all’andata
dal quale, imboccato il sentiero che scende sulla sinistra, si torna al
punto di partenza (1 ora circa).

Il “naso” che sporge dalla cresta rocciosa dopo il Pizzo dell’Arco

Anello

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I Monti della Laga con lo Scalandro in primo piano, dalla cresta

Cocoscia

La
Villa de Cocosia è il centro più antico di cui danno testimonianza i
documenti farfensi; nel 1039 risulta essere tra le cospicue donazioni
di territori che Ilperino e sua moglie Ladi affidano alla protezione
dei monaci sabini.

Nel 1255 Cocoscia (Cucusia)
viene menzionata in occasione di una disputa in cui Alessandro IV da
Anagni invita il podestà di Ascoli ad intervenire contro la villa di
Quintodecimo che aveva attaccato e depredato questo castello.

Nel
secolo successivo la vita di questa villa fu strettamente collegata a
quella di Venamartello; infatti nel 1381 i documenti del catasto
ascolano le associano in una sola entità pagante i contributi alla
magnifica città, e tre decenni dopo nel bollario vescovile le due ville
compaiono strettamente congiunte assieme alle loro chiese di S.
Salvatore e S. Angelo dette “de Cocosia sive Vena Martelli”. I beni di
queste chiese risultano a carico del Rettore Giovanni Massetti e del
chierico prebendato Giovanni Massioli di Venezia. Entrambe le chiese
sono citate in documenti del ‘300 e del ‘400, ma della chiesa di
Sant’Angelo di Cocoscia si perdono ben presto le tracce.

Nel
1454 Giovanni da Tallacano paga i diritti di visita pastorale per la
chiesa di S. Salvatore, centro unificatore delle due ville, mentre il
catasto ascolano nel 1458 chiama separatamente le due Ville (Villa de
Cocosia (sic) e la villa de Vena Ammartellu) al pagamento dei tributi.

Purtroppo
non si hanno molte notizie sulla storia di questa zona a causa della
perdita dei protocolli dei notai, fonte di preziose notizie sui luoghi.

Venamartello

Il
paese di Venamartello domina il territorio di Acquasanta con le sue
case allineate in cresta sopra un masso tufaceo sulla sponda
settentrionale del fiume Tronto.

Per
raggiungerlo in auto si deve arrivare alla frazione di Centrale, posta
poco dopo l’incasato di Acquasanta, e trovare il bivio della strada che
si inerpica per i castagneti e i boschi fino a raggiungere numerosi
paesini di quella zona. Nel piccolo paese, dall’alto della cresta si
può percorrere il belvedere, un corridoio che si affaccia su un
panorama vastissimo e permette di ammirare non solo l’incasato di
Acquasanta, ma una gran parte di territorio come in una cartina
geografica: le cave di travertino, dove si estrae il materiale da
costruzione che caratterizza da secoli i monumenti e le abitazioni di
queste zone, il paese di Paggese con vicino Castel di Luco, e poco
distante il Monastero di Valledacqua.

Sullo
sfondo la scenografia è caratterizzata dai Monti della Laga nella loro
vasta estensione con alle spalle la severa imponenza del Gran Sasso.

Uno
dei fatti storici più importanti che interessarono questo territorio fu
il decennale contenzioso aperto tra il 1550 e il 1600 con la villa di
Tallacano riguardo la delimitazione dei confini territoriali sul monte
Savucco per il quale venne interpellata la Curia Romana. Nel 1620, dopo
cinquat’anni di insolute controversie, la vertenza venne affidata dalle
due Ville a Tito Guiderocchi e a Silvio Alvitreti in veste di
rispettivi procuratori. I testi che testimoniano lo scontro nominano
spesso vari componenti della famiglia dei Velenosi che costituivano un
gruppo consistente della vita sociale di Venamartello.

Nel
periodo napoleonico e in quello unitario Venamartello ebbe un posto
rilevante nella guerriglia che si era scatenata nel territorio
acquasantano.

All’inizio del 1900 la villa
divenne importante punto di arrivo della condotta che da Arquata
fornisce acqua alle turbine della centrale elettrica.

Tra
i nomi e gli appellativi più curiosi che si rinvengono nei documenti
cinquecenteschi troviamo: Scarafajo, Venenuso, Bresca, Malese, Cannolo,
Santanzina, Lepre, Segnore, Mosca, Pellecciò ecc …

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Dopo Pizzo dell’Arco, verso il Monte Savucco

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Il castagneto sotto la cresta Nord-Est