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Ferie per i quinti

stefano

Mi sono preso due turni di ferie per partecipare all’ultimo corso di arrampicata del CAI.

Due turni bruciati per andare a scalare sul quinto grado. E responsabilità, spiegare sempre gli stessi nodi e piagarmi le mani per issare su dei principianti. Devo a me stesso una spiegazione per cui faccio tutto questo, altrimenti mi sentirei rincoglionito, invecchiato, io che ho passato più di 20 anni a cercare il limite in ogni situazione d’arrampicata. E il bello è che mi diverto sui quinti gradi, e niente di tutto ciò si deve fare ad un corso CAI mi risulta un sacrificio. Andando indietro nel tempo forse troverò la spiegazione. Avevo circa quattordici quindici anni quando alcuni tra i più forti alpinisti arrampicatori del tempo (e ce ne erano tanti in Ascoli) mi portarono a scalare le pareti delle nostre montagne.

A diciannove anni fui chiamato a partecipare al mio primo corso CAI di roccia come aiuto istruttore.

stefanoNell’87, sempre quindi nello stesso anno, Tonino Palermi mi telefonò, senza tanto conoscermi, ma sapendo che me la cominciavo a cavare, e mi portò a scalare nelle gole del Verdon.

Tonino, Tiziano, Paolo, Mimmo, Roberto e altri ancora mi chiedevano: “vuoi venire?” ed io: “si”.

Fui accompagnato da Tonino alle prime gare nazionali a Torino e sempre con lui feci le prime prese d’arrampicata con le resine epossidiche. E ne vendemmo anche poiché erano veramente le prime.

Strutture artificiali (non siamo più in là dell’87-88) in Piazza del Popolo ed in feste di paese; manifestazioni e dimostrazioni in posti come Meschia o Carpineto. Quindi i primi massi. Tutto rigorosamente artigianale.

Bene. Prima di mettermi a scrivere queste righe ho avuto sempre rispetto e stima per tutti questi personaggi che insieme ad altri hanno creato tutto questo, ma dentro me ritenevo di essere uno dei pionieri di alcuni aspetti dell’arrampicata ascolana. Ripensandoci ho capito che quello che ci ho messo io è stato il dire “si” quando mi è stato chiesto di partecipare. Il resto è invenzione di quelle persone che me lo hanno chiesto che hanno fatto e fanno parte tuttora del CAI.

Ecco la risposta. La scuola del CAI mi ha insegnato ad arrampicare. E ha fatto di più. Io ho condiviso e condivido l’esperienza e l’amicizia con gli altri istruttori della Scuola, un’amicizia sincera, priva di invidie, astio e competitività.

Per me questo rappresenta un fattore di continuità storica che mi ha accompagnato sempre.

Un punto di riferimento e d’incontro che sta sempre lì, anche se le persone si avvicendano nel tempo, se mi assento per un po’. Lì stanno di casa gli stessi stimoli e gli stessi valori che mi spingono ad arrampicate e la conseguenza è l’amicizia tra di noi.

Invernali in montagna, allenamenti studiati e feroci in garage e poi camini dolomitici e contrafforti dell’annunziata, paure terrificanti e amminoacidi ramificati, fessure ad incastro e diete per strapiombi, gare di arrampicata e salti sui massi.

Anni e anni, decenni.

Insomma: io adesso so arrampicare bene e dovunque mi trovi cerco di spingere la massimo, ma le ferie per i quinti gradi me le prenderò sempre.

Stefano Romanucci


Fotografie

  1. Stefano a Kalymnos