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Itinerario 2

Località di partenza: Uscerno 490 m

Località di arrivo: S. Vito di A. 496 m

Dislivello salita: 880 m

Dislivello discesa: 835 m

Orario complessivo: 5.30/6.30 ore

Difficoltà: EE

Segnaletica: itinerario n. 402

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Dal Fluvione al Tronto

Da Uscerno a S. Vito di Acquasanta

Per Meschia, Agore, Poggio Rocchetta, Tallacano, Cocoscia e Vallesaggia

Traversata

Accesso

Dalla
SS 78 “Picena”, al Km 70 si prende il bivio per Montegallo e si segue
la provinciale fino ad Uscerno. Si parcheggia nella piazzetta del
paese, vicino al bar.

Commento

Uno
degli itinerari più belli e vari della zona. Questa traversata collega
la valle del Fluvione con quella del Tronto e si svolge per gran parte
all’interno di castagneti (alcuni veramente molto suggestivi), ma non
mancano vedute panoramiche su tutte le valli circostanti. Uomo e natura
qui hanno avuto una relazione strettissima, ed il bosco è stato una
delle fonti di principale sostegno per le popolazioni, lasciando segni
ancora oggi visibili.

Poiché si
attraversano diverse frazioni è possibile trovare acqua durante il
percorso. Ed è proprio l’acqua il tema di questo “itinerario dei due
fiumi”: l’acqua del Fluvione, un torrente poco conosciuto ma stupendo,
dove canyon e forre sono la caratteristica principale del suo breve
corso, e il Tronto, fiume più famoso perché la sua valle è interamente
percorsa dalla antica Salaria.

Pescatori
a parte, oggi i fiumi e i torrenti sono posti praticamente deserti. C’è
invece chi non li ha affatto dimenticati. Chiuse dell’ENEL, laghi,
pompe di irrigazione e acquedotti ne hanno drasticamente ridotto la
portata, poi l’inquinamento (discariche e scarichi fognari) ha dato “il
colpo di grazia. Così diverse specie animali si sono estinte, prime fra
tutte il gambero e la lontra. Ma anche i pesci hanno subito un colpo
durissimo: malattie e pesca ne hanno ridotto il numero e le specie.
Oggi la maggior parte delle trote sono “lanciate” dall’Amministrazione
Provinciale pochi giorni prima dell’apertura della pesca, trote che
spesso non sono in grado di riprodursi ed “usate” al solo scopo ludico.
È un peccato! Per l’ambiente, che lentamente ma inesorabilmente si fa
sempre più sterile. Per noi che, chiusi nelle città, perdiamo anche il
ricordo di questi luoghi, una volta tra i più ricchi di vita.

Relazione

Ad
Uscerno (490 m), si prende la stradina che inizia davanti al bar vicino
alla piazza del paese. Questa, in discesa, passa sotto la strada
principale e poco oltre davanti alla chiesa. Dopo un tornante si
attraversa il fiume su un ponticello (450 m). Una volta sull’altra
sponda si prende il sentiero che sale parallelo al piccolo fosso sulla
destra.

Superata una baracca, si sale a
sinistra e in breve si raggiunge una pista. Per questa si continua a
salire fino ad un incrocio. Si prende il ramo sinistro e, in piano,
dopo poco si aggira una curva e si giunge ad un altro bivio. Si prende
il ramo di destra che sale in cresta, si supera poi una zona di massi e
dopo una netta curva si riprende la strada asfaltata che collega
Meschia a Uscerno.

Si prosegue in piano
per questa, si oltrepassa la zona più famosa per il Boulder (vedi box)
e si arriva a Meschia (730 m. 0.45 ore).

Dalla
piazzetta (fontanile) del paese, si prende un sentiero a destra.
Questo, prima aggira il cocuzzolo che sovrasta il paese, poi sale in
cima (ottimo punto panoramico, 801 m). Si continua in discesa fino ad
una larga sella (774 m, 0,20 ore) e, mantenendo sempre la cresta, si
segue una pista che, abbastanza pianeggiante, entra nella valle. Ad un
netto bivio (800 m circa, 0.10 ore, incrocio con l’itinerario 446), si
prende a sinistra un largo sentiero in salita, caratterizzato dal fondo
in arenaria massiccia. Tornato in cresta il sentiero si porta alla sua
sinistra ed incontra un castagneto dove diverse larghe tracce si alzano
sulla destra; ignorarle e continuare sul largo sentiero per lasciarlo
dopo circa 100 m per salire sulla successiva deviazione a destra. Ora
più stretto ed inciso il sentiero risale il versante boscoso con
diverse svolte e raggiunge di nuovo il filo di cresta in corrispondenza
della base di un liscione di arenaria. Lo si risale con vedute
panoramiche sul Vettore ed i Sibillini fino alla sua fine e si continua
a salire nel bosco.

Ora la cresta si
allarga facendosi meno ripida ed il sentiero volge gradualmente a
destra fino ad incontrare quello che traversa orizzontalmente il
versante (sentiero n. 403, 1037 m, 0.35 ore). Seguire questo a destra,
in piano, ed in breve si incontra, in corrispondenza di un suo
tornante, la pista dissestata che sale da Abetito. Si continua a salire
su questa finché termina sulla dorsale boscosa, spartiacque principale
dell’area, nei pressi di una sella (1106 m). Si prosegue a destra per
sentiero. Ci si porta sul versante sinistro della cresta per poi
risalirla zig-zagando. Tornato pianeggiante il sentiero diventa una
pista e continua sulla larga dorsale (1174 m). Dopo poco, ad un bivio
(1170 m, 0.15 ore), prendere a sinistra una vecchia pista che dirige
verso sud. In breve la pista ridiventa sentiero che inizia a scendere
deciso, volge a destra in piano, oltrepassa un fosso (opera di presa) e
raggiunge una caratteristica e panoramica sella (983 m, 0.15 ore, bivio
per Piandelloro – sentiero n. 424). Prendere a destra su evidente
mulattiera che diventa subito pista, in leggera discesa supera un
evidente fosso (Fosso del Marchese, 945 m) e, costeggiando antichi muri
a secco, giunge ad Agore (851 m, 0.15 ore).

Si
entra nel paese nei pressi della fonte, si fiancheggia la chiesetta, e
si percorre la via che lo attraversa interamente. Dopo le ultime case,
al termine della stretta stradina parte la vecchia mulattiera che, a
tratti larga ed evidente, percorre la cresta sottostante ora portandosi
a destra ora a sinistra del filo, tra paretine e lame di arenaria.
Quando la cresta si fa più ripida il sentiero, qui più stretto, si
porta a sinistra e si abbassa sul versante con larghe svolte fino
all’abitato di Poggio Rocchetta (660 m, 0.20 ore). Dopo un liscio
balcone di arenaria (attenzione in caso di roccia bagnata!) si supera
il fontanile del paese e giunti alle ultime case si lascia a sinistra
il bivio per Rocchetta (sentiero n. 431). Ripresa la strada bianca, per
questa, si continua fino a Tallacano (circa 2 km, 0.45 ore).

Si
percorre la strada asfaltata che inizia dal paese per circa 700 m e, in
corrispondenza del cimitero, si devia a destra su una comoda pista in
terra (616 m, 0.10 ore). Questa si tiene prevalentemente in piano. Con
alcuni saliscendi si traversa il versante solcato da fossi,
contraddistinto da lisci salti rocciosi e castagneti con imponenti
esemplari secolari. Sempre nel bosco si incrocia di nuovo una pista
molto marcata (750 m circa, 0.30 ore, itinerario n. 416), la si segue
in discesa (ad una curva è possibile abbreviare imboccando il sentiero
che scende diretto verso destra) rasentando una bella piana ancora a
tratti coltivata e raggiungendo le case di Cocoscia. Saliti al paese
(696 m, 0.20 ore fontanile), si prosegue per il sentiero che inizia
proprio sotto la casa davanti la fonte. In breve si raggiunge un bivio
(itinerario n. 417) nei pressi di una opera di presa (700 m circa) in
corrispondenza della quale si prende a sinistra il sentiero che
oltrepassata la cresta, scende con svolte, costeggia salti rocciosi e
torna in piano volgendo definitivamente a destra. Si raggiungono in
breve i ruderi di Vallesaggia e il bivio con l’itinerario n. 414 (600
m, 0.15 ore). Si continua per il ramo di destra, sul sentiero che,
superato il borgo, continua con lievi saliscendi a traversare il
tormentato versante della valle superando fossi e marcate creste
panoramiche fino ad arrivare sopra l’abitato di San Vito che si
raggiunge facilmente per una pista sconnessa (496 m, 0.40 ore).

Agore d’inverno

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Il ponte sul torrente Fluvione

San Vito

Anche per la villa di San Vito, le notizie storiche emergono dai dati riguardanti la chiesa.

L’edificio
sacro, edificato ai primi del Quattrocento e dotato di mezzi
sufficienti per potersi permettere un chierico prebendato, fa presumere
che il paese esistesse già da tempo.

Nel 1500
lavorano a San Vito i mastri lombardi Antonio, Jacobo e Joannitto
Laurentij ai quali viene commissionato il rifacimento della chiesa con
la clausola di riporre in situ il portale originale. L’architrave in
arenaria reca infatti la figura stilizzata e ieratica di San Biagio
Benedicente in mezzo a due figure leonine poste di profilo.

Alle
grosse mai aperte e alzate viene data valenza taumaturgica o anche
quella di imposizione dell’autorità e della protezione, che si
richiamano ai valori romani della Potestas Pater-familias.

Alcune case vengono in questo secolo costruite da maestri di talento
nella lavorazione della pietra locale e dagli atti risulta che, sebbene
il paese ospitasse poche famiglie, queste erano tutte economicamente
potenti.

Tra il ‘600 e il ‘700 le famiglie più colte e benestanti saranno quelle degli Orsini e dei Camaiani.

Il boulder

Svariati
anni fa, su un masso vicino al paese, qualcuno armato di martello e
scalpello ha scolpito la scritta “Tonino 78”. Chi l’ha fatto non poteva
immaginare che su quel masso sarebbe stato tracciato il passaggio di
roccia più duro del mondo, ed il suo nome sarebbe stato proprio quello
da lui scolpito. Proprio così: se volevate vedere gli arrampicatori più
bravi del mondo dovevate venire qui, in questo minuscolo borgo
dell’Appennino.

Praticamente sconosciuta ai più
fino a qualche anno fa, Meschia ha avuto un’improvvisa notorietà
internazionale dovuta ai suoi massi. Il bouldering, l’arte di “scalare”
massi, è uno sport nuovo, praticato da molti giovani in tutto il mondo.
Di massi buoni per scalare Meschia ne ha molti, e ha pure un territorio
intorno che a molti è sembrato “da favola”. Grandi castagni con in
basso tappeti di muschio e, a fare da sfondo, la triangolare e severa
sagoma del Vettore. L’ascolano Mauro Calibani è stato campione del
mondo di questa disciplina; è lui che ha “scoperto” questo luogo e lo
ha rivelato sulle riviste del settore (sua la prima salita di “Tonino
78”).

Di colpo, una variopinta moltitudine di
giovani proveniente da tutta Europa ha invaso questo posto. Il
fenomeno, che avrebbe potuto rappresentare un’unica ed originale
occasione di sviluppo, ha trovato impreparati tutti, a cominciare dai
proprietari locali, che altro non hanno potuto fare che chiudere
l’accesso a causa della sporcizia.

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I ruderi di Valle Saggia

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In alto: Mauro Calibani su “Tonino 78”

In basso: boulder ovvero arrampicare sui massi