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Itinerario 17

Località di partenza: Tallacano 660 m

Località di arrivo: Pizzo dell’Arco 1011 m

Dislivello complessivo: circa 450 m

Orario complessivo: 3.30/4.30 ore

Difficoltà: E

Segnaletica: itinerari n. 402, 416, 419

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Il sentiero dei castagni

Da Tallacano a Pizzo dell’Arco per Cocoscia

Discesa: per il M. Vicito e San Pietro

Accesso

Prendere
la vecchia Salaria (uscire ad Acquasanta se si proviene da ovest oppure
dopo Mozzano se si proviene da est) e giunti nei pressi di Centrale,
prendere per Tallacano. Seguire questa strada fino al paese.
Parcheggiare nello slargo all’inizio del borgo.

Commento

Un
anello molto vario, impreziosito dai bellissimi castagneti nella prima
parte, dagli affacci panoramici ed aerei dalla cresta del Pizzo
dell’Arco e del Savucco nella seconda. Si scende, per un crinale,
direttamente sul Piano di S. Pietro e quindi a Tallacano, chiudendo
così l’anello.

Relazione

Dal
paese (660 m) si percorre all’indietro la strada asfaltata per circa
700 m e, in corrispondenza del cimitero, si imbocca la larga mulattiera
che parte a destra (616 m, 0.10 ore, itinerario n. 402) e si tiene
prevalentemente in piano; si prende a sinistra al primo bivio e a
destra al secondo, in corrispondenza di un castagneto.

In
leggera salita, la pista rasenta un bottino di presa in mattoni poi,
dopo un lungo tratto nel bosco, incrocia una seconda pista (750 m
circa, 0.30 ore, itinerario n. 416).

La
si segue in discesa fino ad incrociare un netto sentiero che verso
destra permette di abbreviare il percorso. Per questo si scende
rapidamente tra boschi fino a riprendere di nuovo la pista, adesso più
pianeggiante, che, rasentando una bella piana ancora a tratti
coltivata, raggiunge infine Cocoscia. Per una stradina dopo la prima
casa si sale alla chiesetta di fronte al fontanile (696 m, 0.20 ore).

Scendere
qualche metro fiancheggiando la casa davanti alla fonte e prendere il
largo sentiero che, verso sinistra, traversa la piana. Dopo breve
salita si raggiunge un bivio (itinerario n. 417) nei pressi di un’opera
di presa (700 m circa, fontanella) in corrispondenza del quale si
svolta a destra e ci si addentra nel bosco. Si continua in piano e,
dopo lieve discesa, si lascia questa pista per risalire sempre a
sinistra su largo sentiero che risale diagonalmente il bosco. Molto
evidente, anche se a volte esile, il sentiero inizia ad aggirare un
rilievo della cresta (Capo Castello) facendosi più sottile e superando
trattini di arenaria affiorante in zone ripide.

Si
giunge infine ad un’ampia radura dove, nel bosco, si alzano esemplari
giganteschi di castagno. Ci si dirige verso la cresta seguendo una
larga traccia che poi si porta sulla destra a risalire il ripido
pendio.

Quando la pista torna in piano
la si lascia per salire a sinistra verso la cresta sulla quale si
individua un sentiero che la risale tra i lecci che ostruiscono il lato
sinistro. Aggirato a destra l’ultimo saltino, si torna a sinistra tra i
lecci sbucando infine sulla cresta, pochi metri a destra di Pizzo
dell’Arco; dal Pizzo, che può essere raggiunto facilmente, si gode un
eccellente panorama sulla Valle del Tronto e sull’antistante catena
della Laga (1011 m, 0.55 ore).

Si
ripercorre il breve tratto finale, poi si continua sulla cresta del
Pizzo tra arbusti di leccio e ginepro; da questo punto si mantiene il
filo di cresta che, in corrispondenza di banchi di arenaria, offre
vertiginosi affacci sul sottostante Fosso di Novele. Si raggiunge,
infine, sempre sulla cresta ora ampia e boscosa, la pista che sale dal
basso (1000 m circa, 0.30 ore, bivio con itinerario n. 416). Seguire la
sterrata a sinistra. Questa, in lieve salita, traversa verso destra e,
dopo un netto tornante, torna pianeggiante lasciandosi a destra il M.
Vicito. Poco oltre, dove il bosco si fa più rado, incrocia il sentiero
n. 419 (1069 m, 0.15 ore). Prendere a destra ed in breve ci si abbassa
sul filo della cresta che, decisa, permette di scendere rapidamente al
sottostante piano dove si incrocia una pista (801 m, 0.25 ore, incrocio
con l’itinerario n. 420 per Tassinara – Sasso Spaccato, v. it. 11). La
si segue verso destra e, superato il pianoro, si giunge rapidamente
alla chiesetta di San Pietro (764 m, fonte, 0.10 ore). Si lascia la
pista e si prende il netto sentiero che inizia a destra della fonte
davanti alla chiesa. Per questo, con alcuni zig-zag, si scende
rapidamente il versante fino ad incrociare la strada bianca che collega
Poggio Rocchetta a Tallacano.

A destra, in circa 100 m si raggiunge il punto di partenza (0.15 ore).

Anello

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In primo piano il borgo di Cocoscia, sullo sfondo la Montagna dei Fiori

Il castagno, questo sconosciuto

Il
castagno cresce in zone collinari fino agli 800/1000 m di quota. In
Occidente giunse dall’Asia minore attraverso l’antica Grecia verso il V
secolo a.c. Nel I sec. a.c. viene descritto da Virgilio nelle Bucoliche
e dal poeta latino Ovidio che invita gli amanti a fare dono alle loro
amate delle castagne, vendute nei mercati della Via Sacra a Roma. I
medici greci Ippocrate e Dioscoride attribuiscono alla castagna
proprietà atte a combattere i dolori addominali e gastrici.

Nell’alto
Medioevo il castagno è presente un po’ ovunque come testimoniato dal
Vescovo Ottone Freising (della Baviera) che, visitando l’Italia nel
1154, definisce il paese “…talmente fertile che si possono trovare dei
boschi di alberi da frutto principalmente castagni, fichi e ulivi”
(Gesta Federici Seu Rectius Cronica, Pitte 1986). La castanicoltura da
frutto ebbe un grande impulso anche per volere della contessa Matilde
di Canossa, come riportato in numerosi documenti.

Nell’economia
della montagna ha avuto un ruolo fondamentale fino a pochi decenni fa,
tanto che il castagno era chiamato “albero del pane” e la castagna
“pane dei poveri”; osservando la sua composizione analitica si nota
infatti che è un frutto molto ricco di amidi, ma di scarso contenuto di
zuccheri. Il suo valore calorico è di 230 calorie per 100 gr. di
caldarroste, di 350 calorie per 100 gr. circa di castagne secche. Cento
grammi di castagne fresche contengono: 50 gr. di acqua, 4 gr. di
proteine, 2,5 gr. di grassi. Contengono inoltre: potassio, ferro,
zinco, rame, manganese, fosforo, magnesio, zolfo, calcio, vitamina B,
vitamina C. Hanno proprietà energetiche, remineralizzanti, toniche,
antianemiche, antisettiche.

(da “Roccafluvione. La magia della natura il gusto della storia”, a cura del Comune di Roccafluvione)

Allo
stato attuale sono due le forme colturali che interessano questa
pianta: il castagneto da frutto (silva castanile) ed il ceduo di
castagno (palina di castagno): il primo, di elevata rilevanza
paesaggistica, impone periodiche cure atte all’eliminazione del
naturale rinnovamento primaverile e postestivo della vegetazione del
sottobosco facilitando così la raccolta autunnale dell’edule frutto; il
secondo, originato spesso dalla conversione dei castagneti da frutto e
facilitato dal rapido accrescimento individuale, è caratterizzato da
turni di taglio di 16-18 anni.

Il legno,
ricchissimo in tannini e quindi particolarmente resistente all’effetto
marcescente dell’acqua, si presta ad essere usato per la realizzazione
di pali del telefono, travi di sostegno e pali di ancoraggio delle
imbarcazioni (praticamente tutto il materiale legnoso usato nei canali
veneziani è in castagno).

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In questa pagina: la chiesa di San Pietro con l’affresco prima e dopo il restauro

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Castagna o marrone?

Castagna o Marrone?

Il
nome di marrone è attribuito ad un insieme di cultivar (varietà
ottenute attraverso incroci mirati, un po’ come accade anche per i
cani) caratterizzate da spiccate attitudini alla produzione di pregio e
dalla presenza di 2-3 grossi frutti per riccio.

Generalmente,
il marrone quale frutto si distingue dalla normale castagna per le sue
maggiori dimensioni e per le evidenti striature sulla pancia e quale
pianta per i fiori maschili che risultano sterili; è per questo motivo
che la realizzazione ed il mantenimento di una selva castanile da
frutto, implicano l’innesto di porzioni di piante da marroni sui
tronchi di castagno (portainnesti, piedi).

Ciò
significa che il castagno da marroni è di per sé sterile e
all’impollinazione delle infiorescenze femminili provvedono gli alberi
di castagno non innestati presenti allo stato selvatico, soprattutto
grazie all’azione del vento (impollinazione anemocora).

Tagliando
il marrone in senso orizzontale in due porzioni, si può osservare che
la buccia interna non si addentra nella polpa del frutto come accade
nella castagna; ciò lo rende particolarmente adatto ad essere cotto
arrosto (“caldarroste”) risultando facile da sbucciare, al contrario
della castagna che invece si presta meglio ad essere lessata
(“caciole”).

L’insieme dei marroni, comunque,
non è l’unica categoria di castagne domestiche adatte al consumo intero
e alla canditura: la “Montemarano” (o castagna di Avellino) è molto
grossa e molto simile ai marroni, analogamente ad alcune varietà
piemontesi come la “Castagna della Madonna”, la “Marrubia” ed altre
comprese nella categoria dei marroni.