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Itinerario 1

Località di partenza: Piandelloro: 804 m

Località di arrivo: Favalanciata: 518 m

Dislivello compl. in salita: 1270 m

Dislivello compl. in discesa: 1330 m

Orario complessivo: 6/8 ore

Difficoltà: EE

Segnaletica: itinerario n. 401

Alla ricerca dell’Appennino Perduto

Da Piandelloro a Favalanciata

Per Rocchetta, Agore, le Pagliare, Peracchia e Capodirigo

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Accesso

Dalla
SS 78 “Picena”, tra il Km 76 e il Km 77 si lascia la statale e si
prende per Casebianche. Si continua per questa tortuosa strada e,
superati diversi paesi, si giunge ad un valico, in prossimità di
Scalelle (circa 9 Km). Al valico (quadrivio) si prende per Piandelloro
dove si arriva dopo circa 4 km.

Commento

Questo
itinerario permette la visita a numerosi borghi della valle, una volta
ferventi di vita, ora pressoché abbandonati. È possibile tra queste
antiche mura rintracciare i segni di quella vita: pietre modellate
dall’uso, antichi arnesi, iscrizioni (abbiate il massimo rispetto per
esse). Attenzione! Entrare nelle abitazioni è rischioso: molti solai
sono pericolanti.

La “grande fuga”
verso Roma e l’America risale agli anni ’50 quando la maggior parte
degli uomini e delle donne presero i poveri bagagli ed emigrarono.
Adesso, ormai anziani, alcuni di essi stanno tornando e infatti molte
case sono state ristrutturate, anche se nulla potrà più essere come
prima. Il destino di questi piccoli borghi sembra irreversibilimente
segnato, poco si addicono al modello di vita odierno e così abbiamo
paesi che si “ripopolano” in estate mentre in inverno sono
completamente disabitati.

Una nota a
parte merita Rocchetta, il “paese verticale” che, completamente
abbandonato da decenni, e ormai diruto, mantiene però un fascino
particolare anche per la sua caratteristica distribuzione a terrazze.
Ricordatevi che addentrarsi nel borgo può essere pericoloso poiché
alcuni muri sono fatiscenti e possono venire giù facilmente. Nel
momento in cui scriviamo, il destino di questa frazione, pressoché
unica nel suo serrato dialogo con la roccia su cui è scavata, sembra
aver destato l’interesse di imprenditori privati, che la stanno
acquisendo interamente.

Ci auguriamo
che tutto non si risolva con recinzioni e divieti d’accesso, e che,
almeno in parte, questo patrimonio culturale rimanga visitabile.

Dal
punto di vista escursionistico l’itinerario, se fatto in modo completo,
è abbastanza lungo sia come sviluppo sia come dislivello e quindi
richiede un buon allenamento.

Relazione

Da
Piandelloro (804 m) si traversa il paese lungo la via centrale, si
passa davanti al fontanile proseguendo poi su sterrata. Per questa si
traversa il versante della valle pressoché in piano (ad un primo bivio
prendere a sinistra). Quando la pista scende decisamente la si lascia
per prendere a destra il sentiero che, in breve, su suggestive cenge in
arenaria, raggiunge una panoramica sella (825 m). Si continua
prevalentemente in piano, si aggira il crinale, si oltrepassa il rudere
di un riparo in pietra e si continua a traversare il versante solcato
da fossi. Quando a destra la cresta forma una sella, si lascia il
sentierino che prosegue in piano per seguire quello più evidente che vi
risale raggiungendola in breve. A destra, è visibile uno dei luoghi
dove veniva cavata la pietra. Ora si segue il sentiero a destra della
cresta, che rasenta un vecchio casaletto, attraversa una macchia e
raggiunge ampie prature a monte del paese di Rocchetta, le cui case più
elevate sono già visibili dall’alto. Conviene abbassarsi a destra
costeggiando la frazione abbandonata fino a raggiungere la strada
sottostante nei pressi di una vecchia vasca scavata nell’arenaria (811
m, 0.40 ore). Si prosegue a destra sulla strada bianca, si supera la
chiesa di S. Silvestro (782 m) e si continua fino ad Agore (851 m, 0.45
ore, fontanile). Dal paese, si prende a destra la strada sterrata che,
dopo una casa a monte del fontanile, entra nella valle. Ad un bivio si
prosegue in piano (sinistra) e quindi si oltrepassa il Fosso dell’Agore
(835 m circa). Poco oltre la sterrata termina e si prosegue per
sentiero. Si continua senza grandi dislivelli a traversare, si supera
una cresta e quindi si incrocia di nuovo una nuova sterrata nei pressi
del Fosso Petrienno (830 m circa). Prendere a sinistra, in discesa, e
proseguire per circa 50 metri di dislivello fino ad un bivio con un
sentiero a destra (770 m circa, 0.50 ore). Lasciare la pista che
continua a scendere (itinerario n. 435 per la Grotta del Petrienno) e
proseguire per la mulattiera che, in leggera salita, supera prima una
cresta (punto panoramico) e quindi in leggera discesa giunge fino alla
località “le Pagliare” (ruderi, 800 m circa). Sempre per sentiero,
rapidamente, si scende al Fosso delle Pile (770 m circa). Traversato il
fosso, in piano, si giunge al bivio con il sentiero n. 430 che scende a
Poggio Rocchetta (770 m, 0.25 ore). Prendere a destra, in salita, tra
boschi di castagno. Il sentiero ora sale rettilineo, supera alcuni bivi
secondari fino ad un grosso masso triangolare nei pressi di un fosso,
dove piega nettamente a destra (1000 m circa). Risalita la breve
scarpata del fosso il sentiero si fa meno netto; si piega a sinistra e
si continua nel bosco sempre abbastanza dritti fino ad un’altra
deviazione verso destra (1100 m circa). Anche qui occorre traversare
pochi metri, quindi si continua sul fondo valle fino a giungere, con
una breve traversata a destra, sulla aerea sella con vista sul versante
di Peracchia (1168 m, 1 ora, incrocio con il sentiero 419).

Si
lascia a sinistra il sentiero che conduce al Monte Savucco (419) e,
verso destra, si prende il netto sentiero che scende, tra radi alberi
di quercia, lasciando a destra le bancate di arenaria, fino ad
incrociare una sterrata che si segue verso destra. Questa porta, dopo
aver traversato un ponticello su un fosso, alla frazione di Peracchia
(890 m, 0.30 ore). Il tratto da Peracchia a Capo di Rigo (925 m) si
percorre interamente su strada ( 0.40 ore). A Capo di Rigo conviene
superare il paese e, prima del valico, scendere a sinistra per la
strada di servizio dell’acquedotto. Prima della galleria si prende a
destra per una sterrata che si lascia quando piega bruscamente a
sinistra, all’altezza di una grossa quercia, per imboccare un sentiero
verso destra. Il sentiero, molto evidente, si tiene prima sulla destra
del fosso poi sulla sua sinistra per arrivare, dopo avere attraversato
appezzamenti di terreno coltivato, fino ad una pista (canale della
centrale idroelettrica) che porta a Favalanciata (518 m, 1 ora). E’
molto suggestivo traversare il paese percorrendo le sue antiche e
caratteristiche viuzze prima di raggiungere la via Salaria.

 

Traversata

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Le caratteristiche “balconate” di Rocchetta

Favalanciata

Il
paese fu feudo dei Cavalieri di Malta che con la loro opprimente
imposizione di tasse provocarono nel 1589 una reazione di protesta:
quindici uomini ivi residenti insieme ad altri cinque di Quintodecimo
fecero istanza al Papa di essere liberati dalle tasse e dalle
imposizioni insopportabili che erano costretti a tollerare, tanto che
alcuni dei maggiori possidenti cominciarono ad acquistare terreni
presso Capodirigo.

La chiesa di San Sebastiano
risale alla prima metà del Cinquecento e per qualche tempo ebbe, grazie
ai lasciti dei fedeli, una buona dotazione tanto da consentirvi la
celebrazione della Messa una volta la settimana.

Nel
1885, Don Tommaso Mattei, assieme alla confraternita di Favalanciata,
ricostruì questa chiesa ex novo dotandola di arredi e di oggetti per la
liturgia.

Figure in odore di eresia

La
chiesa di Capodirigo, dedicata a S. Caterina, venne edificata nel 1412
come attesta l’atto rogato dal notaio romano Antonio Butij Godoni.

Dai
documenti scopriamo che due maestri furono gli artefici della
costruzione: Antonio Zannis, lombardo, che costruì “unam voltam
lapideam ad crocevia cum uno archo de lapidibus cuncis et scarapello”,
e Jacobo Johannis che realizzò “pilos seu sepolturas tres cum voltis
lapidum”.

La chiesa è caratterizzata da un
interessante portale scolpito in arenaria, che nella chiave di volta
raffigura un vecchio barbuto con la frangetta appena accennata,
caratterizzato da grandi orecchie ed un’espressione ieratica, ai lati
del quale vengono rappresentate rispettivamente una figura alata con un
copricapo conico e un uccello alato raffigurante un’arpia.

Nei
due conci sottostanti, a completare l’arco a sesto acuto di stampo
romanico gotico, la complessa figurazione presenta a sinistra un
francescano dalla folta e lunga capigliatura con una corona in testa,
inginocchiato, nell’atto di offrire dei doni con l’invocazione “O
mortem accipe aurum et argentum dona mihi vitam”, mentre a destra si
contrappone una figura adamitica nell’atto di scoccare un freccia, con
ai piedi un mostruoso animale, accompagnata dalla scritta: “Ego non
accipio nec aurum nec argentum sed vitam iustam”.

L’interpretazione
d’insieme data alla figurazione fa riferimento al fatto che,
probabilmente, in questo periodo nella zona dell’Appennino centrale si
rifugiarono alcune comunità di catari, i quali vennero perseguitati, ma
rimasero fedeli alle loro convinzioni, avendo forse appoggio da qualche
signorotto locale.

Si colgono infatti nei
testi e nelle figure i valori condivisi dai movimenti pauperisti e dai
seguaci di San Francesco, come il concetto di Povertà, reso nell’atto
di donazione di beni materiali, e nel concetto di Umiltà che si
concretizza nella figura alata di sinistra (forse lo stesso principe
vescovo rappresentato di fronte?) che si eleva superando l’orgoglio e
la protervia della gerarchia ecclesiastica simboleggiata dalla mitra
calcata in testa alla figura e aborrita dai valdesi sotto ogni forma.
La Castità viene invece rappresentata dalla vittoria sulla lussuria
rappresentata dall’arpia.

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Aspetto invernale ed estivo di Rocchetta

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Il portale della chiesa di S. Caterina a Capo di Rigo