1912 / 1997
Bucci era operaio, fabbro, popolano dotato della beffarda e satireggiante furbizia dei poveri, salace nelle battute, appassionato del vino non per retorica ma per compagnia; s’era staccato già ben oltre i quarant’anni dal gruppo degli infaticabili camminatori della Montagna dei fiori per correre l’avventura della roccia, forse agevolato dalla presa d’acciaio che il mestiere gli aveva messo nelle mani, certo con l’entusiasmo di un giovane, da secondo ma seguendo gli amici più forti sino ai gradi allora superiori, facendo da pungolo e da portabandiera di un alpinismo, come quello ascolano degli anni ’60 e ’70, tanto scanzonato, bevereccio e goliardico quanto ricco di risultati: nel sorriso felice e anzi estatico della foto qui sopra, la stessa posta dai familiari sulla sua tomba a terra, il rapporto del vecchio Bucci con l’alpe c’è tutto.
Di lui ricordo due frasi celebri all’interno del Gruppo Alpinisti Piceni, il “glorioso” GAP. Avevamo copiato dalla Sucai Roma, con molto altro, l’uso di raccogliere relazioni scritte delle uscite alpinistiche o escursionistiche, che tutti i soci avevano l’obbligo di consegnare e che in effetti nei primi tempi fornirono diligentemente. Bucci, tra i fondatori del GAP, raggiungeva a volte una notevole anche se sgrammaticata forza descrittiva; e il meglio di sé lo dette certamente, lui dedito a Bacco, descrivendo l’arrivo alla fonte delle Ciàule sotto l’omonima sella del Vettore.
C’è qui, scrisse, un’acqua limpida e fresca, che può servire da buon ristoro per una mediocre necessità. Tacito, se avesse amato il vino, non avrebbe espresso meglio un condiscendente disprezzo verso quel diverso e insipido elemento; io, comunque, ho riso poche volte come allora. Poco più tardi, nel 1961, all’interno del GAP si cominciò a parlare di un rientro nel CAI, possibile perché l’elezione di Domenico Massimi alla presidenza prometteva quella maggiore attenzione all’alpinismo che s’è poi verificata in termini insperati; Bucci era fermamente contrario al rientro che avrebbe, sosteneva con altri, ridotto il nostro spirito di corpo: ciò che poi – il ‘vecchio’ aveva visto giusto –inevitabilmente accadde. Perorando la causa della riunificazione, qualcuno osservò che se fossimo rimasti fuori ora che la Sezione era disposta a farsi invadere dalla nostra linea, i “caini” ci avrebbero a ragione guardato “per storto”.
Ricordo con precisione come nella piccola stanza del Palazzo del Popolo che ospitava la sede del GAP Bucci chiese la parola, si pose davanti al tavolo, traballò un attimo per motivi suoi, riprese l’equilibrio, si sporse in avanti a tracciare nell’aria una immaginaria diagonale e sprizzando una gioia maligna dagli occhi e dai baffetti neri sibilò: – E se loro ci guardano per storto … ebbene noi li guarderemo di sbieco!
Una risata collettiva ruppe la tensione mentre l’oratore, concluso il fulminante intervento, tornava soddisfatto a sedersi.
Credo che di episodi come questi la sua storia sia ricchissima e che in particolare Claudio e Maurizio siano oggi in grado di raccontarli; potrebbe essere un buon modo per tratteggiare il ricordo di un personaggio caratteristico, allora, dell’alpinismo ascolano, al quale comunque tutti noi del GAP dobbiamo più di un mal di testa del giorno dopo. Mi auguro che trovino il tempo e la voglia di farlo. L’ascolano Middio Félix, compagno di Bucci in montagna e altrove, lo ricorda con la foto a sinistra, scattata a Pietracamela negli anni ’60 al termine di una giornata di intensa attività, e con la strofe, confermativa della caducità d’ogni cosa bella, entrata ormai a far parte integrante della famosa stornellata:
e possa fa la fine
c’ha fatte Bucci
che prima iava a litri
e mò va a quartucci …
Francesco Saladini
Fotografie
- Fioravante Bucci alla cena sociale GAP del 12.2.60; a sinistra Claudio Perini, nascosto dalla mano il presidente Danilo Angelini
- Da sinistra: un paesano che nasconde Marco Florio, Bucci, Francesco Bachetti, Félix, Alfonsino Bianchini, Ugo Capponi (primo salitore con Peppe Raggi della Nord del Pizzo del Diavolo invernale), Tonino Ambrosi